di E.T. twitter@iiiiiTiiiii
Il Roma Fringe Festival ci ha offerto il 9 giugno un paio di sorprese più che gradevoli: cominciamo dalla prima rappresentata dallo spettacolo “Il Folle e il Divino”, della Compagnia Nogu Teatro, scritto e diretto da Cristiano Vaccaro, con una affiatatissima compagnia di giovani e bravissimi artisti (Claudia Bighi, Eleonora Capri, Ilaria Conti, Ilaria Manocchio, Lorenzo Marziali, Vanina Visca, Cristiano Vaccaro) che interpretano una divertentissima rivisitazione del mito di Edipo, ironica ed irriverente, da bravi Dei che giocano con la vita degli uomini come se gli uomini fossero pupazzi incapaci di agire.
Proprio ciò che gli Dei rimprovereranno alla fine dello spettacolo al pubblico, preso come “campione” di questa incapacità di “fare” aspettandosi invece sempre qualcosa “dall’alto”. Lunghi applausi, ci siamo proprio divertiti, e di corsa al palco successivo.
Alle 23.30 uno spettacolo decantato da un amico dell’attore in scena come magnifico ci fa sospettare, essendo chi scrive parte di quella schiera di infedeli che pensa che a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia mai; purtroppo il sospetto si fa certezza.
“84 gradini” di e con Giuseppe Mortelliti in scena per cinquanta minti che avrebbero potuto essere 20, regala allo spettacolo tutta l’energia di cui Mortelliti è capace. La drammaturgia è debole, con almeno quattro finali, e questo non giova all’attore che è bravissimo – soprattutto con il corpo, mentre la recitazione pecca un po’ di monotonia, le pause sono ripetute pedissequamente negli stessi punti, non c’è grande fantasia né ricerca interpretativa. La scenografia è molto bella e perfettamente funzionale all’energia corporea esplosiva di Mortelliti, ma lo spettacolo – nonostante impegno ed energia – ci annoia più di un po’.
Alle 22.30 avevamo assistito ad un piccolo miracolo: lo spettacolo Pa’am achat… Una volta del gruppo milanese Compagnia Equinozio. Come ci ricorda il sito ufficiale del Roma Fringe Festival tre artisti di strada, Shlomo, Bertha e Genesio, si ritrovano sul molo n. 5, nel porto di Genova. Attendono la nave che li porterà a Buenos Aires. Shlomo è un chitarrista italiano, Genesio un cantante di origine gitana, Bertha una cantastorie nata in Germania. Fuggono dalla guerra…
Canzoni della tardizione ebraica, umorismo yiddish, il senso del viaggio e della tragedia della guerra e della discriminazione, la storia di una madre, del suo cappotto con la stella gialla (“…mia madre è pronta per andare via perché il Reich ci ha venduto la terra”), la ricevuta corrispondente al bagaglio che il Reich permetteva ai deportati – massimo 20 chili – e le magnifiche canzoni, malinconiche, semplicissime (Emanuele Scataglini ha un controllo vocale perfetto su una voce particolarissima), che arrivano direttamente al cuore. Poi l’arrivo a Buenos Aires dove tanti rifugiati finiranno e dove tanti maiali Nazisti si rifugeranno.
Come abbiamo già detto all’autore, regista ed interprete Emanuele Scataglini subito dopo lo spettacolo, la drammaturgia è inesistente, la regia scadente, la recitazione imbarazzante, ma lo spettacolo è magnifico, arriva diretto al cuore, commuove, emoziona, è [finalmente!] vita e non sperimentazione tout-court.
Ed è questo il teatro che amiamo.
(10 giugno 2014)
©gaiaitalia.com 2014 diritti riservati riproduzione vietata