Rosa Balistreri è Rosadilicata. Ricordo questa piccola donna tutta energia: ricordo soprattutto che quando appariva in televisione in famiglia era tutto un mugugno perché lei cantava in siciliano, che era la sua lingua, quella con cui era cresciuta, aveva vissuto, si era espressa, perché non ne aveva avuto un’altra fino a vent’anni. Solo a quell’età imparò infatti a leggere e scrivere.
Ci sono stati tempi non lontani in questo paese in cui le donne erano mantenute nell’ignoranza a discapito del potere maschile. E nessuno si meravigliava di un hijab ritenendolo un simbolo di inferiorità. Perché la scelta era tra accettare il potere maschile o essere ammazzate di botte. E in quelle condizioni bisognava essere toste.
Ed era una donna tostissima Rosa Balistreri. Non la piegarono né l’invisibile hijab dell’ignoranza, né le botte, né l’ingiustizia sociale, né la galera, né gli inganni. Solo la morte. Nel 1990.
Chiara Casarico ci ha offerto giovedì sera nel Centro Culturale Aldo Fabrizi di Roma, all’interno del Festival Agorà, organizzato dall’Associazione Il Naufragar M’è Dolce… un lavoro magnifico. Una struttura teatrale che si snoda tra canzoni e recitazione, un po’ in terza persone ed un po’ in prima e che attraverso la vita e le disavventure di Rosa Balistreri e le sue canzoni – suonate e cantate dalla protagonista, con Roberto Mazzoli a chitarre e fisarmonica – e che grazie al ritmo perfetto non annoia mai.
Chiara Casarico è molto brava nei panni dell’artista siciliana, recita e canta in lingua, fa un invidiabile salto di ottava e “canta, canta sempre”, anche quando parla. Anche quando racconta dei soprusi subiti da intere generazioni di donne, delle violenze sessuali in famiglia, delle giovanissime date in pasto a quarantenni, di aborti procurati dalle botte, di un mondo femminile zittito e vessato dalla brutalità del maschio padrone: non scandalizzatevi. Sono passati solo trent’anni ed in molti luoghi d’Italia è ancora così. E’ solo cambiato lo stile.
Il rischio per uno spettacolo di questo genere è di lasciarsi andare ad una stucchevole denuncia sessista – che sarebbe stata giustificatissima – dimenticandosi di essere in scena, ma Chiara Casarico non corre questo rischio ed intelligentemente si affida all’umanità, la sua, ed a quella della donna le cui gesta eroiche di vita quotidiana sta raccontando.
E’ questa la grande vittoria dello spettacolo.
(19 settembre 2014)
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