di Alessandro Brusa twitter@BrusaAlessandro
Sabato scorso, 25 ottobre, è partita la XII edizione di Gender Bender il festival, da tempo ormai di rilievo internazionale, che porta in Italia produzioni della cultura contemporanea legate alle nuove rappresentazioni del corpo, delle identità di genere e di orientamento sessuale.
Un ricco programma che nell’arco di nove giorni porterà a Bologna cinema, teatro, danza, fotografia, una serie di eventi culturali di grande rilevanza ed anche divertimento nei locali del Cassero, la storica associazione LGBT bolognese promotrice del festival.
Sabato abbiamo cominciato con la presentazione del libro “Global Gay” di Frédéric Martel, ospitato da Nicola Riva nell’aula magna di Santa Cristina.
Pubblicato in Italia per Feltinelli, questo libro ci racconta un’indagine condotta sul campo durata più di cinque anni, visitando quarantacinque paesi ed intervistando più di seicento persone. Attraverso la mappatura dei diritti civili nel mondo otteniamo una visione più ampia che ci aiuta a comprendere l’evoluzione sociale e culturale dei diritti umani a livello mondiale. La lotta che noi persone omosessuali conduciamo in verità è e deve essere intesa come parte integrante del più grande movimento per i diritti civili, come indicato dallo stesso presidente Obama quando nelle sue campagne presidenziali, in particolare quella del 2012, ha accostato la questione LGBT a tutte le questioni di discriminazione. Proprio per questo motivo Martel stesso sottolinea la necessità, da parte del movimento LGBT, di trovare alleanze con tutte le realtà che si occupano di diritti: sindacati ed organizzazioni delle donne in primis.
Dopo uno sguardo alla situazione globale non si poteva non parlare della situazione italiana. L’autore francese fa notare come a suo avviso (anche se Franco Grillini nel suo lungo intervento è stato critico a questo riguardo) non sia il Vaticano il “pericolo” principale nel nostro paese, ma una classe politica, in particolare quella della sinistra, che non è mai stata in grado di attuare la separazione tra Stato e Chiesa che troviamo in tutte le grandi democrazie occidentali. Proprio per questo la lotta, come è stata portata avanti in Francia (paese dove la separazione tra stato e chiesa è ben definita), può non essere ovviamente applicabile in altri paesi, in particolare il nostro.
Sabato sera invece al Cinema Lumiere c’è stata la prima italiana di “Tiger Orange” diretto da Wade Gasque ed interpretato da Mark Strano e Frankie Valenti.
“Tiger Orange” narra la storia di due fratelli cresciuti nella California rurale da un padre che presto si rende conto dell’omosessualità dei due figli. Omosessualità vissuta ed esibita però in modi molto diversi dall’uno e dall’altro. Perché se Todd (il personaggio interpretato da Frankie Valenti, ex attore porno che sta cercando uno spazio nel cinema mainstream) la vive in maniera esplosiva e provocatoria scappando a Los Angeles, Chet (Mark Strano, sceneggiatore ed autore della storia) senza nascondere troppo di se stesso resta nel paese natale conducendo una vita che potremmo definire “normale” secondo i canoni di un paese che, se non rifiuta l’omosessualità, rifiuta sicuramente la “diversità”. Ed è questa secondo me la chiave della storia, perché quando dopo la morte del padre Todd farà ritorno al paese natio, il problema principale non sarà tanto la sua omosessualità, ma tutto ciò che a volte ad essa si può accompagnare. L’omosessualità che viene accettata è quella che si inserisce all’interno della struttura della società senza in verità metterla in discussione e che magari si adatta ad essa: capisco quindi quando molti omosessuali reputano che la spinta rivoluzionaria del movimento LGBT si perda nel momento in cui cerchiamo il riconoscimento attraverso l’inclusione nella tradizione.
E’ invece un gioco di armonie e disarmonie, di solitudini e complicità quello messo in scena da Virginie Brunelle nel suo “Complexe des genres” andato in scena ai Teatri di Vita, storico teatro bolognese che da anni porta nel nostro paese le produzioni più interessanti viste sui palchi di mezzo mondo ed in questa occasione in collaborazione con la direzione del festival stesso. Uno spettacolo magistralmente interpretato da sei ballerini (tre uomini e tre donne) che hanno rappresentato l’incontro/scontro tra il maschile ed il femminile: non solo quello che avviene quotidianamente dentro noi stessi o all’interno di una coppia, ma anche e soprattutto all’interno della società tutta. Attraverso una danza acrobatica, fortemente fisica e sensuale abbiamo visto emergere ed alternarsi armonie e disarmonie: le prime evidenti e prorompenti quando il maschile si incontra con il femminile, le seconde quando l’uno o l’altra si trovavano sole. E’ nei momenti di solitudine infatti che le due identità sembravano perdere ogni connotazione ed ogni grazia. Solo la ricomparsa del partner o la presenza in scena dei compagni o delle compagne dello stesso genere era in grado di riportare fluidità nei movimenti: un equilibrio ritrovato nel corpo e nella mente.. e forse è questa la “coscienza dei generi” di cui parla il titolo.
(28 ottobre 2014)
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