“The Knife Who Killed Me”, una lama spuntata al Festival Internazionale del Film di Roma

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di Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

Tratto dal romanzo omonimo del 2008 di Anthony McGowan, The KnIfe Who Killed Me (t.l. Il coltello che mi ha ucciso) (Gran Bretagna, 2014) di Kit Monkman e Marcus Romer, in concorso nella sezione distaccata Alice nella città, ancora inedito in UK (dove uscirà il 24 c.m.), è un film fastidioso come pochi sia per il racconto che ci propone sia per il suo stile.

Girato con la tecnica del Gray Screen (il nipote tecnologico del Chroma key) il film inserisce attrici e attori in una scena astratta, digitalizzata, con degli elementi grafici che in mano a Greenaway diventerebbero parte integrante della trama, mentre in mano a Monkam e Romer si limitano ad avere subito (dopo un inizio promettente) una mera funzione esornativa: disegnini, ghirighori, qualche parolaccia e qualche membro virile disegnati su di una ipotetica superficie astratta che occupano le parti liminari dello schermo panoramico contornandoknife 3 la scena che ne occupa spesso solamente la parte centrale.
Per facilitare il lavoro di montaggio tutte le scene con il cast sono sviluppate frontalmente davanti la mpd, senza un vero montaggio cinematografico (campi e controcampi, dettagli) dando ben presto l’impressione di stare assistendo alla ripresa video di uno spettacolo teatrale. Così fortemente stilizzato l’impianto visivo finisce presto per entrare in contraddizione con l’impianto registico  piatto mancante di ogni profondità di campo che privilegia un tipo di recitazione teatrale spesso in favore di mdp, tutt’altro che naturalistica anche se i fatti raccontati pretendono di esserlo. Di cinematografico ci sono gli inserti digitali e non la materia prima, cast e personaggi, del tutto antinaturalistici.

knife 1Il film è raccontato in prima persona da Paul un sedicenne appena trasferitosi in una nuova scuola che afferma di essere stato ucciso da un coltello.
Il racconto si dipana tra i più squisiti luoghi comuni, tra gruppi rivali, ragazzi cattivi , con accoliti brutti e stupidi, professori inesistenti e il nostro Paul che si innamora di una ragazza che però, gli viene detto, scopa con un altro.
La rabbia monta e poco conta scoprire che il rivale essendo gay non può scopare con la ragazza che gli piace.
Le cattive compagnie lo fanno comportare male e un coltello che gli è stato consegnato diventa la chiave dell suo destino.

Inutile dire che il ragazzo gay muore in questa sagra del luogo comune, omofoba, estetizzante che omette completamente il contesto sociale, politico, culturale e familiare e crede di dare alla gioventù un consiglio importante che è lo stesso dei nonni dei nostri nonni: le cattive compagnie è sempre meglio evitarle.

Purtroppo se oggi c’è una recrudescenza di omicidi tramite lama tra giovani (a volte anche ai danni del copro docente)  non avviene certo per le cattive compagnie ma per motivi ben più complessi che il film così preso ad allestire un esercizio di stile tecnologico ignora belluinamente.

Un film da evitare a tutti i costi, come Superman con la criptonite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(18 ottobre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©alessandro paesano 2014
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