Il piacere di farsi ferire dai monologhi di Philip Ridley #Vistipervoi

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Philip Ridley 01di Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

La XIII edizione di Trend, la rassegna sulla drammaturgia contemporanea inglese, si è conclusa It, Wound, Killer, Now, quattro dei cinque monologhi (manca Ok) pubblicati da Philip Ridley, insieme a Dark Vanilla Jungle messi in scena per la prima volta al mondo da Luca Fiamenghi e interpretati da Luca Catello Sannino, Alice Arcuri e Michele Maganza.

Quattro monologhi che colgono quattro diverse identità, quattro personaggi apparentemente svagati e surreali, che raccontano emozioni e vicissitudini che un dettaglio drammatico, spesso indeterminato, fanno precipitare all’improvviso nella contingenza più dolorosa e realistica di una solitudine e una sofferenza vere.
Gli attori e l’attrice non interpretano con enfasi drammatica ma si lasciano sostenere da una leggerezza il cui tonfo improvviso smarca ancora di più la contraddizione tra apparenza e realtà, tra superficie e sommovimenti sotterranei del vissuto dei personaggi.
In questi monologhi Ridley, dopo la morbosità di Dark Vanilla Jungle, torna ai temi a lui cari, alla solitudine umana, alla sensibilità di un singolo individuo, un ragazzo, una ragazza, che non trova ascolto né spazio sociale condiviso e accogliente in cui essere considerato, dove dietro il comportamento standardizzato e apparentemente riconducibile a qualche facile spiegazione, si cela sempre una identità originale e unica, violata e spezzata dalle circostanze.
Una gioventù abbandonata dalle famiglie, senza amori, senza amicizie e che impiega tutto il vitalismo della sua esistenza per cercare di resistere alla solitudine con la stessa disperazione di un pesce fuor d’acqua che si dimena agonizzante.

Ridley scrive dei monologhi serrati, privi di didascalie ben aperti alle sollecitudini degli attori e dell’attrice che per esplorarli e dar loro vita devono ci entrano misurandosi giocoforza con la propria cifra attoriale.

Così Alice Arcuri interpreta il personaggio di Wound che si autoinfligge ferite per sentirsi viva e poi fantastica di mondi dove l’accoglienza è a portata di mano, al di là di una porta appoggiata a una recinzione, cui incappa mentre esce di casa in cerca di un’aspirina, con un registro comico che mantiene sino alla fine riuscendo a non scivolare nella farsa grazie a una capacità di tenere la scena davvero notevole.

Luca Catello Sannino si cimenta nei due monologhi Now e It coi quali apre e chiude la serata.

Nel primo racconta di un risveglio traumatico dopo un attentato in un ufficio ma questa ricostruzione su dove si trova e cosa l’ha condotto lì cambiano di istante in istante diventando ogni volta qualcosa di meno plausibile (finisce in un buco nero).
Catello Sannino sa restituire con grande incisività l’angoscia del suo personaggio sfruttando al meglio lo strumento narrativo fornitogli da Ridley. Tutta l’angoscia che sale nel pubblico al crescere dell’indeterminatezza del  racconto (dove si trova? Cosa sono quelle luci?) si trasforma grazie alla sua recitazione l’angoscia sotterrane che attraversa il suo personaggio angoscia della  quale il monologo è un’apparizione ormai vaga, epifanica solo dell’incapacità della parola e del racconto di interpretare la realtà che ci circonda (il pubblico si può altrettanto chiedere in quale racconto mi trovo? Qual è il significato di questo testo?) così che il pubblico si rispecchia in questo personaggio senza davvero nemmeno rendersene conto… Merito del genio di Ridley certo, ma anche grande capacità di Catello Sannino nel saper gestire questo meccanismo di rispecchiamento.
In It invece il primo dolcissimo istante di una dichiarazione d’amore tra un giovanissimo ragazzo e il suo compagno di classe viene interrotta da une evento sconvolgente che attira l’attenzione di tutti e tutte, loro due compresi, impedendogli di cominciare la dichiarazione d’amore.
Altro ruolo difficile che Catello Sannino sa interpretare con tutto il candore e la tenerezza necessarie con un controllo e una self confidence che non lo inducono mai a scivolare nel cliché, nella ricerca di un facile effetto, ma lo fa mettere a nudo come interprete offrendosi alla vista in tutto il suo candore, proprio come il protagonista cerca di fare col ragazzo del quale si è, forse, crede, spera, innamorato.Philip Ridley 01 Locandina

Due ruoli molti versi che Catello Sannino restituisce con un linguaggio del corpo adeguato e completamente diverso cui contribuisce anche una diversa localizzazione scenica.

L’allestimento ha infatti sfruttato con grandissima intelligenza la scenografia di Dark Vanilla Jungle un enorme rettangolo che occupa tutto il palco all’interno del quale è stato ricavato un quadrato praticabile coi bordi scoscesi.

Fiamenghi sfrutta questa scena facendo recitare i due attori e l’attrice dietro, sopra e davanti la struttura, impiegando le luci, magnifiche, per abbagliare lo spettatore e immergere nei riverberi colorati i tre personaggi, riverberi  che vanno ad aggiungersi alla predominante bianca lasciando un alone colorato sulla scena e i suoi interpreti.

Michele Maganza, che torna a Ridley dopo aver interpretato Vincet River (che è andato in scena sempre qui al Belli nel 2011), recita il monologo forse più riconoscibile che vede un giovane che vuole convincere il suo uditorio che chiunque, anche loro, possono diventare un killer come lui che negli esempi per acquisire la determinazione necessaria va a ricordare un episodio che gli ha cambiato la vita il rito di iniziazione per entrare a far parte di un gruppo di xenofobi nazisti (i Siege Siege Saxon) che richiede di esercitare violenza mortale su un animale.

Un ruolo difficile, parlato con un ritmo serrato, che Maganza affronta con eleganza schivandone tutti gli ostacoli, linguistici, emotivi, interpretativi, dimostrando una maturità espressiva che tiene la platea incollata alle poltrone.

Quattro storie che costituiscono altrettanti flash di una denuncia senza speranza che Ridley appronta senza alcun compiacimento,  mostrando come la fragilità umana non solo non muove più compassione alcuna ma che l’ambiente in cui l’essere umano
(soprav)vive lo respinge con una contingenza ingombrante e aliena (la cosa che tutti guardano e che impedisce al ragazzo di dichiarare il suo amore; la cosa che ha scatenato lo stato confusionale del ragazzo che finisce nel buco nero) verso una solitudine sempre maggiore che impone di osservare, senza riuscire a far nulla, la catastrofe imminente che rimane fuori dalla scena

It, Wound, Killer, Now (il cui ordine di esecuzione è stato Now, Wound, Killer e It) è uno spettacolo impeccabile nella traduzione del testo (esente dai difetti di quella di Dark Vanilla Jungle) nella precisione e intelligenza scenica con le quali attori e attrice hanno restituito i personaggi da loro interpretati e nella regia che, pur lasciando, quasi, carta bianca all’attrice e i due attori, è riuscita a creare uno spettacolo dalla cifra coerente e organica, che dimostra come, se la drammaturgia d’oltre manica è in pieno sviluppo, anche la regia e la recitazione italiane non sono da meno.

 

 

 

 

 

 

 

(18 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

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