di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Elegante, con un italiano impeccabile, Fanny Ardant ha presentato alla sala gremita della casa del cinema di Roma (Francia-Portogallo, 2013) sua opera seconda come regista con un cast internazionale e italianissimo (Asia Argento e Franco Nero) della quale firma anche la sceneggiatura.
Il film racconta della crisi artistico-esistenziale di una giovane violoncellista che sacrifica la musica per l’amore dedicandosi a un uomo preso dagi affari illeciti di un traffichino italiano. Algido e mentale il film si perde nel suo dipanarsi in una struttura narrativa che non sa mai restituire nelle singole scene sentimenti e pensieri che vengono detti ma mai davvero mostrati. Eppure un film della innegabile seduzione ed eleganza (al quale avrebbe giovato qualche taglio a evitare le inutili ripetizioni).
Un film difficile, con una partitura linguistica complessa e articolata (francese, italiano, portoghese) molto più godibile di tante altre produzioni contemporanee, francesi e non, al quale manca forse davvero l’urgenza di dire qualcosa ma che sa almeno ricordarci il grande potere evocativo del cinema, in una ricerca iconologica ricca di simboli (dall’albergo da ristrutturare al teatro in cui la protagonista suona) e dove il cinema non è la mera riproduzione del reale ma una sua indagine una sua rielaborata ipotesi di comprensione e progettazione. Un cinema d’altri tempi, di tempi migliori di questi nei quali ci ostiniamo a vivere.
(11 aprile 2015)
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