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Rendez-Vous Festival 2015, a “Cineasti del presente” sezione collaterale interessantissima, un po’ di omofobia

Rendez Vous Festival 2015 00 - Eastern Boysdi Alessandro Paesano   twitter@Ale_Paesano

Sezione collaterale molto interessante Cineasti del presente è stata inaugurata per questa quinta edizione di Rendez-vous con l’opera seconda di Robin Campillo, classe 1962, non proprio di primo pelo, che ci racconta una storia di amore tra un ragazzo ucraino e un francese di 50 anni.

Il film si distingue per la regia cinematografica (soprattutto il primo dei quattro capitoli nei quali è diviso sviluppato per immagini e senza dialoghi) ma tradisce una visione ideologica dei cittadini stranieri, della prostituzione maschile e dell’omoaffettività in genere, negative e reazionarie.

Daniel (il monoespressivo  Olivier Rabourdin), 50enne e gay, è solitario e così male in arnese da invitare a casa sua Marek (il bellissimo e bravissimo Kirill Emelyanov), un ragazzo rimorchiato alla Gare du Nord e ritrovarsi con l’appartamento invaso dalla sua banda lasciadoselo svaligiare senza opporre resistenza alcuna.

Siamo ancora nel classico cliché di omosessuale non risolto che riesce a fare sesso con ragazzi solamente per danaro.
Quando tra i due nasce un sentimento questo non può essere d’amore ma di solidarietà: Daniel smette di fare sesso con lui e cerca di sottrarlo alla banda di ragazzi dell’est.

Pudico al limite della sessuofobia (le scene di sesso tra i due, per quanto esplicite, sono tutte alluse senza mai mostrare un centimetro di pelle più del necessario per non rendere il film vietato ai minori) Eastern Boys si sofferma su dettagli insignificanti (l’esitazione di Daniel nell’entrare nella stanza d’albergo dove Marek è legato, e sanguinante) e salta a più pari fondamentali passaggi psicologici dei suoi personaggi  (perché quando Daniel prova dei sentimenti per Marek invece di innamorarsene smette di farci sesso?), oppure sfrutta i cliché più trito (Marek è orfano di guerra ) secondo una visione che ricorda quella  del socialismo ingenuo che credevamo morto per sempre con Miracolo a Milano di De Sica.

Il film è un inanellarsi di fastidiosi luoghi comuni sulla delinquenza dei ragazzi dell’est, sulla vita misera di chi si prostituisce, su improbabili alberghi della prefettura (!?) dove questi giovani vengono parcheggiati, sotto lo sguardo complice e ignavo di una giovane concierge nera, finché la polizia non arresta tutti i migranti e le migranti dell’hotel mentre Daniel e Marek si sottraggono miracolosamente (e inverosimilmente), alla retata.

Un finale aperto ci mostra Daniel adottare il ragazzo, senza specificare la natura del legame tra i due, perché evidentemente, agli occhi di Campillo, che firma anche la sceneggiatura, il sesso tra uomini non può che essere motivato dal danaro e la solidarietà tra diversi può essere solamente asessuata e filiale.

Omofobico, razzista, per radical chic. Un film da dimenticare.

O da ricordare come pessimo esempio di cinema che giudica e ci fa sentire tutti e tutte più buoni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(10 aprile 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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