di Gianfranco Maccaferri twitter@gfm1803
Parliamo di “Kasal (The Commitment)” di Joselito Altarejos (Filippine, 2014); quando il regista è bravo sia nell’uso degli strumenti che ha a disposizione sia per le idee sul linguaggio migliore per raccontare una scena, il film risulta sempre interessante. Joselito Altarejos in questo lungometraggio si è superato per stile formale, idee sul contenuto, raffinatezze estetiche, capacità nel far recitare.
Paolo, filmmaker, e Sherwin, avvocato, stanno insieme da tre anni. Dopo l’entusiasmo che ha caratterizzato i primi tempi della loro relazione, il tradimento commesso dal primo ha messo tutto in discussione. Nonostante il dolore e le recriminazioni, i due decidono di andare avanti, seppur con qualche difficoltà. Questo momento di sbandamento viene acuito dalla partecipazione al matrimonio della sorella di Sherwin. I motivi del malessere sono molteplici: la difficoltà di essere una coppia gay in una società conservatrice come le Filippine, l’inevitabile e frustrante confronto con la cerimonia “etero” per eccellenza, l’ombra dell’infedeltà commessa da Paolo. Riusciranno a superare questo ennesimo impasse? Melodramma che prova a “costruire” un’identità più che a smantellare gli ideali. Il regista e co-sceneggiatore Joselito Altarejos, autore molto caro al TGLFF, vi ha partecipato a due edizioni con i lungometraggi Antonio’s Secret (2009) e The Game of Juan’s Life (2010).
L’idea di vedere alcune scene attraverso dei vetri, ma capire esattamente cosa si possono dire i protagonisti è emozionante per come è stata realizzata. Ho apprezzato anche, come contenuto, il non insistere sulla omofobia sociale o interiorizzata che colpisce molti gay, ma rendere le problematiche di coppia, universali. Essere gay o etero non cambia, quello che incide è la difficoltà di capire cosa si vuole o si pretende da una relazione stabile con un altra persona.
“Kasal” è probabilmente la rappresentazione più realistica delle relazioni di coppia. I personaggi e la loro chimica sono così genuini che la rappresentazione del sesso è inutile, lo spettatore intuisce e a un certo punto sa già tutto: semplicemente due persone innamorate alle prese con le difficoltà universali dell’amore.
La recitazione (naturale) di Arnold Reyes e Oliver Aquino, raggiunge livelli talmente convincenti che se ci fosse un premio per i migliori attori non avrei dubbi a chi assegnarlo.
Attenzione, il film non è tenero con il cuore dello spettatore e quindi un fazzoletto a portata di mano prima che si accendono le luci in sala lo consiglio a tutti.
E veniamo a “Drown” di Dean Francis (Australia, 2014), uno di quei film che è necessario vedere. Molti sono i motivi per non perderlo, lasciando in disparte ogni critica cinematografica, questo film rappresenta bene la gelosia, la paura omofobica, il desiderio omoerotico represso e quello sessuale non corrisposto ed infine la tragedia come conseguenza a tutto questo.
Il bagnino Len, campione di surf, corpo scultoreo, maschio alfa è l’idolo di tutti. Ma quando nel team arriva Phil, bello come il sole e per di più gay, la competizione sportiva diventa avversione e odio. La prova di forza si misura non sul fisico, ma sulla paura di ammettere chi si è veramente. Brutale e lirico, muscolare, tour de force sulla virilità e sul “cameratismo imperfetto” teso fino allo spasimo, spettacolarità convulsa nonostante il low budget, tra Point Break e Brotherhood.
“Drown” è il secondo film del regista indipendente australiano Dean Francis, che ha debuttato con “Road Train” (2010). Francis è stato attratto dalle possibilità uniche di tradurre il soggetto della commedia in un film che colpisca pesantemente chiunque sia davanti allo schermo. E c’è riuscito!
“Ho subito pensato che questa piéce teatrale fosse molto cinematografica. La commedia esprime le paure e le fantasie dei personaggi in immagini che si intersecano con il dialogo in un modo assai filmico. Anche se la commedia si svolge tutta durante una notte sulla spiaggia, contiene un ricco background di situazioni che io ho ampliato per spiegare meglio la dinamica degli eventi. Avevo già affrontato il tema del bullismo omofobico in un corto di sette minuti dal titolo “Boys Grammar” che era piaciuto molto al pubblico, e che molti mi chiedevano di ampliare. Io credo che il bullismo e la mentalità banditesca che la nostra cultura sembra aspettarsi dai maschi, abbia avuto conseguenze terribili per un gran numero di persone”.
Non voglio aggiungere parole dedicate alla bravura del regista, alle sue scelte di costruzione del film o a quelle estetiche; questo è un film che va visto, che deve essere distribuito e proiettato in più sale possibili. Un film che, proposto ai ragazzi delle scuole superiori, renderebbe un enorme servizio al contrasto del bullismo omofobico!
(3 maggio 2015)
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