Gender DocuFilm Fest 2015: tentata indagine sull’omofobia

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Gender DocuFilm Fest - When I Get Homedi Alessandro Paesano  twitter@Ale_Paesano

 

 

 
Primo documentario della serata è  When I Get Home (Cuba, 2014) di  Mathias Aldemar nel quale, con un’estetica à la grande fratello, videocamera fissa che riprende in “tempo reale” quel che accade, ci viene mostrato il menage quotidiano di Tomas e Luis, due uomini maturi e anziani una volta giovani e forti. Ne seguiamo prima uno, poi il secondo entra nell’inquadratura grazie al riflesso dello specchio dell’armadio così da comparire insieme eppure separato all’altro. Unica inquadratura degna di nota.
Tra ricordi musica e film di tanti anni prima, una casa umile e povera, galline come animali da compagnia, la corrente elettrica che va e viene, il racconto intimista rimane sul vissuto di una coppia di amanti – che potrebbero anche essere solamente due amici – senza nulla dirci di quella Cuba contemporanea così solo apparentemente a favore delle persone omosessuali (dopo i campi di rieducazione di Castro o l’omofobia viscerale di Che Guevara…).
I momenti immemorabili raccontati nel documentario sono tali per chi li rivive un po’ meno per chi è chiamato ad assistere al loro racconto.
Eternamente lungo nonostante i suoi 15 minuti di durata senza che davvero nulla accada (l’unico dettaglio degno di nota è l’edizione di un lp dei Beatles giunto a Cuba tramite l’Urss pubblicato con un brano in meno rispetto alla track list originale, proprio quella canzone che gli dà titolo) dopo la visione del documentario sorge spontanea la  domanda: perché programmare questo documentario in un festival sui generi(s?) sessuali?

Gender DocuFilm Fest 2015 - Non so perché ti odioDopo aver girato molto per festival (a cominciare da quello Internazionale del film di Roma del 2014) e non (è stato in programmazione in molte sale dello stivale) giunge al Gender Docu Film Fest “Non so perché ti odio – tentata indagine sull’omofobia e i suoi motivi” (Italia, 2014) di Filippo Soldi, documentario sull’omofobia che si presenta manchevole da molti, troppi, punti di vista.

Manca una definizione ragionata e condivisa di omofobia: è una malattia come celia il regista, invitato sul palco prima della proiezione, o un preciso atto volontario di discriminazione? A vedere i casi presentati nel film non si capisce bene: si passa da due omicidi come raptus in seguito a due rapporti sessuali agiti e subito negati, alla descrizione di alcune aggressioni a danni di persone omosessuali, al resoconto di alcuni suicidi dove l’omofobia pare essere tanto la pressione esterna di un ludibrio non meglio identificato, quanto la pressione interna di una non esplicitata  omofobia interiorizzata.

Manca al documentario una voce autorevole che confronti  e glossi le affermazioni riportate dalle varie persone intervistate, che aiuti il pubblico a farsi una propria opinione. Limitandosi a riportare con lo stesso registro analitico le dichiarazioni di chi viene aggredito e quelle di chi pensa che l’omosessualità sia un attacco alla naturale divisione in sessi del genere umano (Soldi ha intervistato esponenti dei Giuristi per la vita, delle Sentinelle in Piedi, di Manif Pour Tous Italia e di Forza Nuova) si rischia di dare a ogni opinione espressa lo stesso spessore, la stessa autorevolezza, la stessa importanza lasciando al singolo spettatore, alla singola spettatrice, il compito di decidere chi ha ragione e chi no, in un imbarazzante e, ci dispiace dirlo, omofobico agnosticismo nel non precisare mai l’infondatezza di alcune dichiarazioni riportate come se si tratti solamente di una questione di opinione e non di dichiarazioni illecite. Anche le opinioni prive di qualunque validità scientifica (come quella di Manif Pour Tous Italia) che pretende che se si apre al matrimonio gay (sic!) si sdogana anche la zoofilia vengono date in pasto al pubblico con la stessa tranquillità con cui si intervista la madre di Andrea Spezzacatena.

Manca infine la curiosità di voler indagare sui mass media e sull’omofobia di fondo con cui vengono riportate le notizie che riguardano gli ambienti “particolari”, quelli dei “balletti verdi” di una volta che non sono affatto cambiati.

Una pavidità di fondo che nasce dalla volontà di non voler criticare, ma di registrare per capire, e che fa emergere tutta la sprovvedutezza politica di chi crede che la verità sia manifesta e che non ci sia necessità di schierarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(29 agosto 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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