di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Il testo teatrale di Andreaa Valean Eu cand vreau sa fluier, fluier, (t.l. Io quando voglio fischiare, fischio) debutta al Teatrul Național di Târgu-Mureș nel 1998. Il successo della piéce porta alla pubblicazione, in traduzione inglese, nel 2000.
Quel che non può il teatro può il cinema.
La commedia ha risonanza europea quando il film omonimo di Florin Serban vince nel 2010 l’Orso d’argento al festival di Berlino.
Io se voglio fischiare, fischio arriva in Italia, a Short Theatre, nella traduzione (dall’inglese?) di Roberto Merlo, nell’ambito del progetto europeo Fabulamundi – Playwriting Europe 2015-2016, portato in scena dalla compagnia di giovani Blu Teatro.
Il programma di sala non rende giustizia al testo e nemmeno al lavoro fatto in scena.
Vi si sottolinea infatti un elemento secondario del nucleo drammaturgico della commedia: il sesso. Cosa succede se una ragazza, giovane, carina, si fa chiudere in una cella con tre ragazzi, giovani, carini, che non vedono una donna da mesi (anni forse)? si legge.
In realtà i tre ragazzi non sono affatto carini, non è vero che non fanno sesso da anni (nel testo si lascia intendere che i capi abusano sessualmente degli orsi) e non è vero che la ragazza si fa rinchiudere con loro in una cella.
Siamo nell’aula i lettura, dove i ragazzi non vanno mai, a detta della guardia che accoglie la ragazza nel’edificio di detenzione.
Un espediente retorico comunicativo per attirare l’attenzione del pubblico a detrimento però del vero testo che racconta di una studente di sociologia che va in questo riformatorio (ma la guardia parla di scuola) per verificare le competenze linguistiche dei suoi ospiti e per indagarne sogni e speranze.
Tre ragazzi, scelti a caso, vivono la presenza della giovane come una rottura di una routine scandita da un potere gerarchico preciso e crudele come uno dei Capi spiega alla studente. I Capi sono serviti dagli Orsi che ne sono gli schiavi (anche per prestazioni sessuali) mentre i nipoti sono neutrali come la Svizzera…
Il caso con cui i tre sono stati scelti per la sua indagine ha voluto mandarle un esemplare di ognuna delle tre categorie.
La commedia gioca bene sulla diffidenza di classe tra chi sta dentro e chi da fuori viene pietisticamente a indagare per far star meglio.
Il capo però cambia le regole e accetta di rispondere al questionario se lo faranno collettivamente e se vi parteciperà anche la studente.
Il confronto tra aspettative ideali e speranze è così spontaneo, immediato, icastico.
Quando il nipote colpisce la guardia intervenuta per interrompere una danza tra la ragazza e i tre reclusi un po’ troppo intima i tre progettano appena colonizzati dalla letteratura e dal cinema carcerario pensano di chiedere un riscatto e fuggirsene negli Stati Uniti. Ed ecco le vere aspirazioni dei tre reclusi venir fuori. Il capitano vuole aprire un locale il nipote vuole suonare, però solamente canzoni popolari romene, mentre l’orso vuole parlare con la madonna, tradendo un problema psichiatrico che il testo insinua essere, almeno in parte, subentrato dopo (lo hanno reso scemo le botte commenta feroce la guardia).
La commedia benissimo scritta ha il merito di analizzare aspirazioni e sogni di una intera generazione dove la divisione classica tra guardie e reclusi non tiene (la guardia, ammanettata e stesa a terra, simpatizza coi reclusi e offre i suoi servizi di sicurezza nel locale che il capitano sogna di aprire in America) – altro che sesso e ragazze! – mentre il finale ristabilisce un principio di realtà crudele e cinico quanto basta a non rendere la commedia un racconto di edificante speranza.
La messinscena di Blu Teatro risente di un certo retaggio naturalistico (finto e impostato) che appesantisce la recitazione, soprattutto quella dell’orso, il ragazzo menomato, la cui caratterizzazione fisica e vocale da handicappato è in bilico tra la macchietta e lo sberleffo politicamente scorretto, senza mai davvero decidersi (il pubblico ride là dove non ci dovrebbe essere nulla da ridere).
Qualche evidente errore di casting distrae dal testo (a Vincenzo D’amato sia per la verve che per le caratteristiche fisiche avrebbe giovato più il ruolo della guardia dato invece a Davide Gagliardini che la interpreta in maniera fin troppo disinvolta) soprattutto nell’aspetto degli interpreti dei tre reclusi che tutto sembrano tranne che giovanissimi come il testo vorrebbe.
La regia è troppo attenta a restituire la plausibilità della situazione (pavidamente però, i tre reclusi si lavano a torso nudo come educande di inizi 900), a discapito di una certa icasticità che il testo permette. Sarebbe stata più diretta ed efficace una direzione degli attori e dell’attrice più asciutta e meno enfatica, più attenta all’essenza dei personaggi che non alla loro umanità preoccupazione che tradisce un (pre)giudizio di chiara matrice cristiana (l’umanità dei reietti) che non ci sembra sia l’effetto cercato dall’autrice che parla semmai di dignità di classe.
Nel complesso una messinscena dignitosa, ma rimaniamo nell’alveo del saggio di fine accademia.
Purtroppo su i Kore l’attesissimo lavoro di Virgilio Sieni tratto dal libro di Agamben La ragazza indicibile non possiamo esprimerci perché la stanchezza da festival ci ha fatto… distrarre permettendoci solamente una visione discontinua.
Di quel che abbiamo visto, parziale e dunque non probante, non abbiamo capito molto, ma è stata sicuramente colpa del sonno…
(13 settembre 2015)
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