Un Indiano a Venezia: V. S. Gaitone, pittura come processo pittura come vita. E’ questa la nuova mostra della Collezione Guggenheim di Venezia, fino al 10 gennaio prossimo. Rappresenta la prima apertura all’arte contemporanea indiana, e proviene dal Museo Solomon R. Guggenheim di New York dove è rimasta dall’ottobre 2014 al febbraio 2015.
Prima dell’apertura veneziana, al Teatrino di Palazzo Grassi, è stato possibile vedere un illuminante documentario di Sunil Kaldate: V. S. GAITONDE del 1995, utile per avere un’idea della personalità e della ricerca formale di un artista pressoché sconosciuto in occidente.
Nato a Nagpur nel 1924 e morto a Nuova Delhi nel 2001, Vasudeo Santu Gaitonde, è considerato il più importante pittore modernista dell’India. Artista schivo, introspettivo e spirituale, legato al Buddismo Zen, insoddisfatto del suo lavoro, smise di dipingere nel 1994. Questa stessa insoddisfazione, sintomo di un rigore e di un radicalismo intransigente, lo portò a distruggere opere che non riteneva di valore sufficiente ed all’altezza delle sue esigenze di ricerca formale. Soprattutto nei primi lavori, sono evidenti le influenze di artisti europei come Kandinski, Klee, Malevic, basi della sua personale ricerca dell’astrazione, e la mostra ne conta un gran numero, in modo da chiarire il più possibile il percorso spirituale artistico formale di tutta una vita.
Negli anni Quaranta del Novecento era all’Accademia di Bombay (Mumbay), e dopo questo la fascinazione dell’Astrattismo, una strada percorsa dagli anni Cinquanta agli anni Novanta. Sono state ritrovate molte foto del 1965, che lo ritraggono, intento al suo lavoro, al Chelsea Hotel, quando fu invitato per un soggiorno di studio a New York grazie ad una borsa di studio.
Le immagini sono di Bruce Frisch.
In quell’occasione sfogò la sua grande passione per il cinema, visionando anche diverse pellicole al giorno. Sempre alla ricerca dell’espressività non oggettiva, dell’equilibrio formale e delle sospensioni cromatiche perfette, riteneva, concetto molto profondo e diffuso in molte culture, che l’operà d’arte già esistente, dovesse “solo”essere trovata, e che fosse questo il compito e la capacità dell’artista: quello della ricerca, dello scavo, della concentrazione tesa al ritrovamento di una sorta di concetto che sarebbe fiorito in pittura.
(13 ottobre 2015)
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