Nel 1616 moriva Shakespeare

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Una scena dal film "Private Romeo" di Alan Brown (2011) tratto da "Romeo and Juliet" di William Shakespeare
Una scena dal film “Private Romeo” di Alan Brown (2011) tratto da “Romeo and Juliet” di William Shakespeare

di E.T.  twitter@iiiiiTiiiii

 

 

 

 

Perché parlare della morte di Shakespeare? Innanzitutto perché è molto meglio parlare di lui morto che di certi sedicenti autori teatrali vivi, anche se spesso ci tocca, e poi perché parlare di Shakespeare ci offre l’occasione per parlare di altri libri che parlano di lui. Libri interessantissimi come quello di Frances Yates “Gli ultimi drammi di Shakespeare” dove l’autrice addentrandosi dentro la genesi di alcune delle opere più interessanti del Bardo, soprattutto quelle degli ultimi anni, arriva addirittura ad ipotizzare un incontro che potrebbe essere avvenuto a Londra tra Shakespeare e Giordano Bruno negli anni in cui il filosofo, che l’Inquisizione bruciò in Campo de ‘Fiori nel 1600, insegnava le teorie copernicane all’Università di Oxford. Yates si sofferma abbastanza sulla possibilità arrivando a concludere che Prospero, lo straordinario personaggio che Shakespeare mette al centro de “La Tempesta”, proprio a Giordano Bruno si ispirasse. L’ipotesi dell’incontro Shakespeare/Bruno suggerì ad una compagnia teatrale straordinaria e coltissima con base nella provincia modenese, uno spettacolo altrettanto straordinario e colto, loro si chiamavano Cooperativa Culturale Koiné, il regista era Silvio Panini.

Parlare di Shakespeare ci offre l’occasione per parlare di altri libri, come quello ispirato alla vita di Christopher Marlowe e intitolato “Un cadavere a Deptford”, firmato da quell’Anthony Burgess molto più conosciuto per Arancia Meccanica che per questo dotto romanzo sulla vita dell’autore di “Tamerlano” e “Edoardo II”. Il libro, bellissimo, segue le suggestione della leggenda popolare secondo la quale Marlowe e Shakespeare sarebbero la stessa persona perché alcune dei dialoghi contenuti ne “L’ebreo di Malta” sarebbero stati ripresi da Shakespeare in alcune delle sue commedie, per essere precisi ne “Il Mercante di Venezia”. La leggenda va oltre: racconta che Marlowe, morto nel 1593 mentre apparentemente svolgeva una missione di spionaggio per conto della Corona, in realtà non sarebbe morto allora, ma nel 1616 (data di morte di Shakespeare). Considerando che Shakespeare cominciò a diventare famoso proprio un paio d’anni dopo la presunta morte di Marlowe e che di lui (come del primo) esistono ritratti apocrifi che potrebbero rappresentare i loro visi, ma anche no; considerando che la data di nascita  di Marlowe è il 6 febbraio del 1564, mentre quella di Shakespere viene fissata genericamente nell’aprile dello stesso anno e una certa innegabile continuità di stile tra i due, l’ipotesi è plausibile anche se resta soprattutto affascinante.

Parlare di Shakespeare significa ricordare splendide pellicole tratte dalle opere shakespeariane, come “Nel bel mezzo di un gelido inverno”, per la regia di Kenneth Branagh, per non dimenticare quel Romeo e Giulietta diretto da Franco Zeffirelli con Olivia Hussey sempre castamente vestita ed il raggio di luna che castamente e niente affatto casualmente colpisce la natica nuda del giovane interprete di Romeo, Leonard Whithing. Significa ricordare un magnifico film come Private Romeo (2011) diretto dal newyorchese Alan Brown che ambientò il dramma (e i meravigliosi dialoghi in inglese elisabettiano) in una scuola di polizia americana tra bullismo ed omofobia negli anni duemila. O lo spettacolo prodotto dal Balletto di Toscana (visto recentemente) con l’amore tra i due giovani Montecchi e Capuleti trasportato nella ex-Jugoslavia degli anni ’90 dels ecolo scorso.

Che Shakespeare e Marlowe siano la stessa persona o che il grande drammatugo inglese (interessante anche l’analisi linguistica che Yates ne fa, proponendolo come colui che contribuì allo straordinario sviluppo della lingua Inglese che oggi conosciamo) abbia incontrato Giordano Bruno può sicuramente affascinarci anche dal punto di vista creativo. Ciò che resta di Shakespeare è la straordinaria profondità dei suoi personaggi, della sua scrittura. Shakespeare è un autore che ha detto tutto. E lo ha detto come nessun altro nonostante sia stato spesso trucidato post mortem da traduzioni di dubbio gusto, da regie agghiaccianti e da attori, autori e registi che lo hanno affrontato, o hanno creduto di affrontarlo, troppo presto, convinti che un testo di Shakespeare avrebbe contribuito a costruire l’effimera fama che troppi credono essere la cosa più importante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(24 aprile 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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