L’Arte vista da Emilio Campanella: Nabis, chi erano costoro?

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nabis-00di Emilio Campanella

 

 

 

 

 

 

 

A questa domanda tenta di rispondere, con un certo buon margine di riuscita, bisogna dire, Giandomenico Romanelli, curatore della mostra: I Nabis, Gauguin e la pittura italiana d’avanguardia, a Palazzo Roverella a Rovigo, fino al 14 gennaio. Bisognerà, però, sgombrare il campo da un equivoco, spero involontario, benché il battage pubblicitario dell’esposizione abbia troppo puntato su un nome ch’è sì, citato nel titolo, ma che ha una presenza esigua, per quanto importantissima per il movimento, ed è quello di Paul Gauguin. Non è una mostra su di lui, ma sull’influenza iniziale che quell’artista ha avuto su questo movimento e sui suoi esponenti che facevano riferimento alla cosiddetta scuola di Pont Aven. E’ essenzialmente una ricerca di semplicità non solo formale, che questi pittori desideravano, come fortemente allontanarsi dall’impressionismo imperante e che allora cominciava a furoreggiare dopo i violenti rifiuti dei primi tempi.

Per questo nomi quali Emile Bernard, Paul Sérusier, Georges Lacombe, Paul Elie Ranson, Charles Filiger, Jan Verkade, George-Daniel de Monfreid, Cuno Amiet, sino a Maurice Denis, (che ebbe un’evoluzione un po’ speciale, si veda il curioso S.Giorgio Maggiore, i venditori di arance del 1908, collezione privata, già quasi surrealista), cercarono nuove vie espressive, forme, cromatismi, suggestioni, spesso mistiche, tenendo sempre presente la lezione di Gauguin (in mostra, comunque, ma con cinque opere minori) come continuo riferimento stilistico e di scelte formali, spesso, radicali.

A questo punto l’esposizione si sposta a Burano dove operavano artisti schivi ed intensi, ed anche incompresi a lungo come Gino Rossi; con uno spostamento dell’obiettivo seguiamo la ricerca pittorica in un altro “borgo selvaggio”, non più in Bretagna, ma nel poverissimo Veneto e troviamo Arturo Martini, Umberto Moggioli, Teodoro Wolf Ferrari, personalità forti che compivano una ricerca simile, ma che erano in contatto diretto od indiretto con la Francia, là si torna con Vallotton, e con l’interessantissimo Marius Bourgeaud, mai esposto in Italia, presente con tre tele notevoli, una fra tutte: Giocatori di bocce del 1918 (Pully, Musée d’Art), misterioso, nella luce forte del sole pomeridiano, le figure appena accennate. Di grande espressività. Si prosegue con Oscar Ghiglia, livornese, allievo di Fattori, Mario Cavaglieri, Felice Casorati, Cagnaccio di San Pietro, ognuno a modo suo legato da un filo sottile al discorso iniziale pur distaccandosene per stile, personalità, scelte formali, ma mantenendone certe direzioni, ed una qualità nel lavoro, che li apparenta alla Francia, quando poi come Cavaglieri non vi si trasferiranno definitivamente per buona parte della loro vita.

Non è assolutamente una mostra facile, anche se le opere esposte possono sembrarlo anche troppo. Bisogna scavare un po’ per trovare il nocciolo, ma ne vale assolutamente la pena.

Strumento utilissimo è il puntuale catalogo pubblicato da Marsilio.

 

 

 

 

 

 

(10 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

 

 

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