di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Les deux amis (t.l. I due amici) (Francia, 2015) è la prima regia di Louis Garrel che, per passare dall’altra parte della cinepresa, sceglie una propria sceneggiatura (firmata con Christophe Honoré) ispirata alla commedia di De Buffet I capricci di Marianna.
Clément (Vincent Macaigne), che lavora come comparsa nel cinema, si innamora di Mona (Golshifte Farahani) di origini iraniane, commessa in una boulangerie della Gare du Nord di Parigi.
Mona è in libertà vigilata e la sera deve rientrare in carcere, ma questo Clément non lo sa.
Così, non capendo perché la ragazza non gli concede un appuntamento la sera, chiede aiuto al suo amico Abel (Louis Garrel) garagista con velleità da scrittore, che va a trovare Mona a lavoro e cerca di perorare la causa di Clément.
Mona lo desidera da quando lo vede per la prima volta (glielo confesserà in una chiesa…) mettendo a dura prova l’amicizia tra i due ragazzi.
Garrel ci regala un gioiello di scrittura e interpretazione che si dipana tra scene comiche fino all’assurdo (come quando i due amici rapiscono Mona impedendole, senza rendersene conto, di rientrare in carcere) e scene d’amore, carnale (tra Abel e Mona) e amicale (tra Abel e Clément) con una sensibilità e una sincerità disarmanti.
Garrel ha la capacità di saper guardare ai suoi personaggi restituendone i punti di vista e le sensibilità anche tramite lo spazio in cui vivono (il cinema per Clément, che diventa momento di incontro anche con Abel e Mona), il carcere per Mona e il momento della doccia come rituale della ragazza anche fuori dal carcere, l’essere Flâneur di Abel e la sua fisicità spiccata (come nella scena in cui cerca di far evadere il suo amico dall’ospedale in cui è ricoverato in seguito a un tentativo di suicidio).
Un film sull’amore nell’amicizia, disarmante perché di una verità cui oggi al cinema non siamo più abituati e dove i due protagonisti maschili, nonostante un’apparente sprovvedutezza alla vita borghese (entrambi non inquadrati e con dei lavori precari) sono molto più consapevoli delle loro relazioni affettivo-amicali di tanti personaggi borghesi “inseriti” in una vita priva di personalità.
Garrel sviluppa Abel e Clemént seguendo i topoi della commedia – Abel il giovane bello, seduttore malgré lui, Clément con ambizioni ben al di là della sua portata (Mona glielo dice chiaramente io ti amo ma non come vuoi tu eppure lui persevera) ma sa sviluppare i personaggi al di là dei tipi facendone delle persone con un certo spessore.
Per cui quando Clément, arrabbiato per dei baci che Abel e Mona si sono dati davanti a lui, gli dice, cattivo, che sente che la loro amicizia è finita e che Abel non ha più niente da insegnarli, Abel gli risponde in lacrime che nella vita non ha che lui e, nei fumi dell’alcool, si concede, incredulo e divertito, alle avance di un portiere di notte pur di non restare da solo.
Mona, che alla fine torna in carcere, dopo aver spiegato per lettera alla madre (e al pubblico) perché ha deciso rimanere fuori la di notte nonostante questo le comporti un aumento di pena, ha ben altro cui pensare che gli uomini e l’amore (e niente ci è dato sapere sui motivi che l’hanno condotta in carcere).
Garrell si rivela autore raffinato e grande regista (la scena in cui Mona balla in un bar deserto appartiene già alla storia del cinema) che sa dosare la sua presenza d’attore senza mai rubare la scena agli altri personaggi.
Un gioiello del cinema francese, mai distribuito in Italia che il pubblico romano ha potuto vedere grazie a un Festival che, anno dopo anno, contribuisce al recupero delle pellicole francesi (francofone) che in Italia non arrivano mai.
(8 aprile 2017)
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