di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Personal shopper (Francia/Germania, 2016) racconta di Maureen una giovane americana che lavora a Parigi come personal shopper per conto della celebrità Kyra.
Gli interessi della ragazza sono però altri e hanno a che fare con le sue doti di medium. Maureen ha perso da poco il fratello morto per una malformazione al cuore della quale soffre anche lei. Vorrebbe lasciare Parigi ma aspetta ad andarsene di ricevere un segno, dall’aldilà, da suo fratello. Intanto mentre aspetta un segno che non arriva si lancia in una conversazione via chat con uno sconosciuto e prosegue con un lavoro che dice di odiare ma che sa fare molto bene.
Questi scarni elementi di trama sono sufficienti per comprendere le coordinate narrative entro cui si muove questo film personale, intrigante, ma irrisolto e fondamentalmente non riuscito.
Manca a Personal Shopper un vero nucleo narrativo che siano le doti di medium di Maureen, o la storia thriller di un omicidio tanto improvviso quanto subito risolto. Il film si muove erraticamente fra questi elementi senza davvero svilupparne nessuno.
A fare da collante la bellezza glaciale e di Kristen Stewart che interpreta Maureen la cui aura giustifica da sola l’esistenza di ogni singolo fotogramma del film.
Ma i fotogrammi non sono fotografie e implicano sempre un racconto, una narrazione, che rimane troppo velleitaria, privo di un sostrato davvero sentito e pensato.
La presenza oggettiva di forme ectoplasmatiche (cui il film da forma concreta) invece di dare spessore allo spiritismo cui allude finisce per banalizzare il tema alla ricerca di una oggettività da telefilm.
Nulla è approfondito nel film che è congelato da una narrazione in presa diretta comprese le estenuanti conversazioni chat al telefono delle quali assistiamo in tempo reale al loro divenire.
Manca al film uno viluppo narrativo che si possa dire tale e la reiterazione di elementi visivi (i rientri di Maureen alla sua casa di Parigi dopo ogni commissione per conto di Kyra) e geografici (i quartieri di Parigi contrapposti a quelli di Londra, gli spostamenti continui in treno e motoscooter) raccontati con ellissi che alludono a motivi e ragioni che il pubblico capisce in corso d’opera, sembrano più dei riempitivi di chi non sa cosa dire e si gingilla con un racconto per immagini che è privo di storia.
Perché alla fine il dolore di una sorella per la morte del fratello gemello non ha bisogno dello spiritismo o degli omicidi per poter essere esplorato, e l’oltre che c’è nelle cose non lo evochi con la comparsa di ectoplasmi o dei bicchieri che fluttuano a mezz’aria.
Gli ambienti di lusso, un lavoro che ti permette di viaggiare per l’Europa in giovane età, il fidanzato informatico con un impiego esotico fuori dall’Europa non rendono i personaggi e le situazioni del film popolari e la tentazione di ridurre tutte le questioni che il film apre a un can per l’aia di lusso per ricchi è forte e anche giustificata.
Di certo Personal Shopper è il film più velleitario e cerebrale di un grande regista francese che, stavolta come non mai, sembra proprio non avere nulla da dire.
Oppure, il che è forse peggio, dice cose molto sciocche.
Premio ex aequo (col romeno Bacalaureat di Cristian Mungiu) per la miglior regia al Festival di Cannes 2016, dove Personal Shopper è stato pesantemente fischiato.
(9 aprile 2017)
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