di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Saint Laurent (Francia/Blegio, 2014) di Bertrand Bonello è l’altro film uscito in Francia, nel settembre del 2014, sulla vita dello stilista di moda Yves Saint Laurent, dopo quello di Jalil Lespert dal titolo Yves Saint Laurent (Francia 2014), uscito a Gennaio dello stesso anno.
Il film di Lespert è stato distribuito da noi dalla Lucky Red mentre quello di Bonello non è mai arrivato sugli schermi italiani.
Il pubblico romano lo ha potuto recuperare grazie alla personale che Rendez-vous ha dedicato quest’anno a Louis Garrel (che nel film di Bonello interpreta Jacques de Bascher, l’amante di Saint Laurent, già amante dello stilista Karl Lagerfeld).
Mentre il film di Lespert aveva ricevuto il sostegno e la collaborazione della fondazione Saint Laurent (proprio nella persona di Pier Bergè, il compagno di una vita di Saint Laurent, ancora vivente) il film di Bonello uscì per proprio conto (anzi Bergè si oppose, invano, alla sua produzione) guadagnandosi la fama di film “non ufficiale”.
Le regie precedenti di Bonello sempre molto provocatorie (come dimenticare le scene esplicite di sesso ne Le pornographe del 2001?) avevano creato molte aspettative, e ci si attendeva un film completamente diverso da quello di Lespert.
Se i risultati di Lespert sono stati modesti quelli di Bonello sono stati ancora più deludenti.
L’errore più grossolano e ingiustificabile di Bonello è quello di avere scelto come interprete di Yves Saint Laurent, che non era propriamente un adone, il bellissimo (e ancora di più) Gaspard Ulliel.
L’effetto è che nel film di Bonello Saint Laurent seduce gli uomini con la sua bellezza straziante diversamente dalla realtà (e dal film di Lespert che sceglie come interprete il meno bello Pierre Niney) dove Saint Laurent seduceva per la sua personalità non certo per l’avvenenza.
Questa scelta di casting influenza tutto il film facendone la classica storia di giovani uomini belli che fanno sesso tra loro facendo invidia agli dei. Sesso strano naturalmente, come quello con de Bascher, accentuato dalle droghe e dall’alcool.
Bonello ci restituisce le serate di sesso di gruppo a casa de Bascher con un occhio troppo moderno, post liberazione omosessuale, quando invece Saint Laurent e de Bascher erano dei pionieri che si muovevano in un mondo tutto da liberare nel quale l’omosessualità era perseguitata dalla polizia anche laddove non c’erano leggi a vietarla (mentre in Inghilterra, per esempio, si andava in galera).
Questo punto di vista astorico infastidisce, più che per l’anacronismo, per la censura involontaria del ludibrio che l’omosessualità subiva all’epoca in cui Yves e Jacques amoreggiavano, che nel film è totalmente assente, confermando a un pubblico, etero e borghese, l’idea contemporanea che gli omosessuali facciano sesso promiscuo e usino droghe in maniera indisturbata.
Bonello si lascia poi prendere la mano dall’affabulazione e ci propone un film pletorico dalla trasbordante durata di 150 minuti (20 dei quali potevano essere tranquillamente tagliati) e dopo un inizio promettente nel quale, per esempio, si sofferma sull’apporto fondamentale dell’atelier (le sarte e gli assistenti d’atelier che realizzavano concretamente gli schizzi e i disegni dello stilista) e si balocca anche con una sequenza temporale che torna indietro mostrandoci gli stessi eventi da diversi punti di vista (prima la stanza delle sarte poi quella di Saint Laurent) che si incaglia e ci tedia con feste, sigarette, sguardi seducenti, sesso alluso ritratto in maniera tutt’altro che spontanea o sensuale.
Anche il nudo frontale di Ulliel, che svela quanto generosa la natura sia stata con lui, è gratuito e niente affatto erotico.
Insomma Bonello si gingilla con la macchina da presa riprendendo set e costumi d’epoca che sono importanti solo per lo sfarzo che mostrano non perché hanno qualcos’altro da dire.
Altro errore banale e madornale è quello di mostrare la creatività di Saint Laurent solo nel disegno di bozzetti e di lasciare a Bergè tutta la strategia di marketing come se Yves fosse un pittore e Pierre il suo venditore, appiattendo il genio creativo di Saint Laurent anche nel campo commerciale (fu lui e non Bergè a inventare il prêt-à-porter).
Il film non si smarca dal cliché vetusto del genio e sregolatezza ai danni di Saint Laurent che sembra solo un bambino viziato e gay.
Ci sono molti momenti nel film che si impongono, per la svolta narrativa (l’arrivo di de Bascher) o nello sviluppo registico (tutto il meeting d’affari tra Bergè e i soci americani in cui i convenuti, che non parlano la lingua dell’altro, comunicano grazie all’impassibile e glaciale traduzione di una interprete) e i cammei di lusso che danno al film un’importanza per cinefili e cinefile. Da Dominique Sanda, che interpreta la madre di Yves, a Valeria Bruna Tedeschi, il cui aspetto è trasformato dal genio di Yves, a Helmuth Berger che incarna Saint Laurent anziano, per tacere di Jérémie Renier, Léa Seydoux, Amira Casar, Aymeline Valade, Micha Lescot, Valérie Donzelli e Jasmine Trinca il film è un profluvio di attori e attrici notevoli.
Sempre di grande rilievo cinefilo la presenza nel film di scene di altri film visti da Yves da I gioielli di madame de…. (Francia/ Italia, 1953) di Max Ophüls a Gruppo di famiglia in un interno (Italia/Francia, 1974) dove Yves Saint Laurent interpretato da Helmut Berger guarda un film con Helmut Berger…
Il film di Bonello dimostra l’inanità del biopic e la sua atavica vocazione alla menzogna, alla spettacolarizzazione in nome dell’intrattenimento e non della verità storica.
D’altronde un film non è un documentario.
Infatti per avere uno sguardo un po’ più intellettualmente onesto su Yves Saint Laurent sia come stilista sia nella vita privata invece dei film di Bonello e di Lespert è meglio vedere L’amour Four (Francia, 2010) di Pierre de Thorretton, nel quale Bergè stesso racconta la sua storia con Yves, commuovendosi e commuovendoci.
Dal film di Bonello si esce storditi, vuoi per la sua durata, vuoi per il numero di camei e citazioni cinefile presenti, vuoi per il nudo integrale di Ulliel.
Si esce anche con la consapevolezza di aver visto un film di finzione e un personaggio cinematografico che poco o nulla ha a che fare con il vero Yves Saint Laurent.
Un film comunque da vedere. Per poi forse dimenticare.
(8 aprile 2017)
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