Festival del Cine Español: “Poesia sin Fin” è un disastro ingiustificabile

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di Alessandro Paesano #Cinema twitter@gaiaitaliacom #jodorowski

 

 

Comincia magnificamente l’ultima fatica di Alejandro Jodorowsky, Poesía sin fin (t.l Poesia senza fine)  (Francia/Cile, 2016) che rievoca i ricordi della sua adolescenza e prima gioventù tornando nel quartiere dove è cresciuto, a Santiago del Cile. Per restituire le atmosfere dei tempi andati Alejandro fa montare dei roll up con le riproduzioni fotografiche in bianco e nero dei negozi di allora sui locali fatiscenti e sfitti di oggi. Una cifra stilistica, assieme a quella delle sagome di cartone, che caratterizza il film collegandolo a un preciso immaginario collettivo, a metà tra Meliès (ma forse dovremmo scrivere Segundo De Chomon) e la sequenza del sogno di Dalì per Io ti salverò di Hitchcock.

Il giovane Alejandro (interpretato prima da Jeremias Herskovits e poi dal più stagionato figlio di Jodorowsky Adan), vessato dal padre che gli dà del maricón (frocio) perché vuole fare il poeta (la madre parla cantando arie di opera lirica), si ribella con verve dadaista prendendo ad accettate l’albero di famiglia a casa dei nonni materni.

Fuggito di casa e rifugiatosi da due amiche artiste di suo cugino, maricón per davvero (lo capiamo dai suoi modi effeminati e dal cagnolino che tiene in braccio), Alejandro viene baciato dal cugino e si felicita di “non aver provato niente”.

I maricones brutti sporci e cattivi. Notare sul fondo i due ciccioni che ballano abbracciati ridicolizzando le relazioni tra uomini.

Capiamo che il sospetto di essere maricón deve aver fatto davvero soffrire il giovane Jodorovsky (anche se non ce ne spiega il perché) ma ci chiediamo cosa ci sia da gioire nel fatto di scoprirsi non maricón.

Vogliamo ricordare al guru della psicomagia  (ehm…)  che, come ha spiegato benissimo nel 1977 Mastroianni in quel capolavoro che è Una giornata Particolare di Scola, non è il sesso a farci etero od omosessuali.

Detto altrimenti non c’è bisogno di non provare niente se un ragazzo ti bacia per non essere maricón, perché non è il sesso che conta, ma i sentimenti, l’amore per le persone, uomini o donne che siano.  Amore che è il  grande assente del film, sostituito dal sesso, in esclusiva chiave eterosessuale, mestruazioni comprese (quelle della fidanzata nana del suo migliore amico Enrique, con la quale Alejandro va a letto).

ll film si distingue infatti non solamente per alcune scene disgustosamente omofobe ma anche per altrettanto disgustose scene maschiliste nelle quali si millantano per “cose da poeta” i classici comportamenti (e considerazioni) del maschietto medio planetario, quello che si ribella se la donna è troppo volitiva, come Stella, la prima fidanzata di Alejandro.

Ogni tanto Alejandro Jodorowsky compare in carne ossa e capelli canuti rassicurandoci sulla vecchiaia che “ci leva tutto, sesso e consapevolezza di sé”… che sembrano essere le uniche cose che gli importano escludendo i sentimenti, le relazioni, le amicizie, le lotte con le altre persone dell’universo mondo.

Anche la lotta contro il dittatore cileno è risolta con una scena estetizzante dove la resistenza politica si limita a un atto egotista e individuale. Per Jodorowsky non c’è lotta di classe…

Il film presenta diverse situazioni circensi e da film muto che non sono mai davvero ispirate o sincere, accedendo a un immaginario esotico dove la diversità serve a confermare la normalità borghese piuttosto che a metterne in dubbio le regole sessiste ed eteronormate.

Stella, la poeta volitiva ed emancipata che Alejandro redarguisce a più miti pretese

Anche Stella, la poeta, donna autodeterminata, viene riportata a un ruolo più consono al suo genere e, redarguita da Jodorowsky che si ribella alle sue “prepotenze” (non sia mai che una donna decide per un uomo) rimane incinta e sparisce per sempre dal film.

Intanto il film continua a sputare in faccia alle persone omosessuali con una pervicacia e una omofobia tutt’altro che celata che non possiamo non rispedire al mittente anche se nel farlo, ce ne rendiamo conto, spariamo un po’ sulla croce rossa.

Il cugino maricón che morirà suicida perché sensibile e particolare

Il cugino maricón si impicca a un lampione, ma la reazione di Alejandro e Stella non è quella di chiincontra un essere umano discriminato fino al punto da essere indotto al suicidio ma quello che si ha di fronte a una strana creatura che, per suoi problemi interiori, si è tolta la vita: così non deve  più nascondere quello che era veramente commenta Stella (capita l’antifona? E’ il maricón che aveva il problema non la società nei sui confronti…).

L’ossessione di chiarire sempre che lui non è maricón ritorna quando Alejandro va a trovare il poeta Enrique Lihn per diventarne amico. Enrique gli chiede subito se lui sia gay (e perché mai?!?) e, sentendosi rispondere di no, gli chiede, “se non lo sei perché mi vieni a cercare?” concludendo che Alejandro è interessato alla sua poesia non già a lui… (che, si sa, tutti gli uomini amici di altri uomini sono maricones…).

Ma il capolavoro di odio omofobico il film lo raggiunge nella scena in cui Alejandrito e Stella cercando un locale dove bere birra, e capitano in un locale per maricones (che ricorda tanto certi locali anni 70  non certo quelli anni 40 che è l’epoca storica cui il film si rifà).

Gli avventori del locale, brutti sporchi e cattivi,  si avvicinano non a Stella (come abbiamo visto fare in un altro locale) ma ad Alejandro e la prima domanda che gli fanno è  “quanto vuoi per una pompa?” (letterale nel film) e dopo che Alejandrito spiega loro che non si prostituisce ma scrive poesie, quella pletora di freaks ride di lui e gli abbassa i pantaloni per violentarlo (nel sedere naturalmente che questo fanno i maricones).

Solo quando Alejandro chiede aiuto Stella interviene e, invocando la vendetta della vagina, prende tutti a calci.

Taciamo sulle considerazioni che Jodorowsky fa sulla vita che va vissuta  o alle domande fatte dalla mente alle quali risponde il cuore, secondo una retorica senile imbarazzante quanto noiosa che un pubblico borghese ed eteronormato può magari trovare anche interessanti.

Poco importa se il film nasce come personalissima biografia dell’autore, se visivamente è notevole grazie alla scene, ai costumi e alla fotografia.

Passi la retorica sulla vita, ma le menate machiste e anti maricón non possono avere patria alcuna nemmeno se portano la firma di Jodorowsky che dirige un film omofobo, maschilista e sessista, senza alcuna verità e, soprattutto, privo di poesia.

Una caduta di stile del Festival.

 





(9 maggio 2018)

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