di Alessandro Paesano #Cinema twitter@gaiaitaliacom #CinemaSpagna
Alberto García-Alix: la línea de sombras (t.l. Alberto García-Alix: la linea d’ombra) (Spagna, 2017) di Nicolás Combarro è un riuscitissimo documentario su uno dei più importati fotografi europei, il catalizzatore della cosiddetta movida madrilena il movimento di rinascita culturale nella Madrid dei primi anni 80, in risposta alla fine del franchismo, che vide oltre a Alberto García-Alix, tra gli altri, il cantautore Joaquín Sabina e Pedro Almodóvar.
Il film di Combarro è un documentario unico nel suo genere nel quale il regista, qui al suo primo lungometraggio, anch’egli fotografo e collaboratore di García-Alix da almeno un decennio, non si limita a intervistare Alberto, o a mostrarcene le foto, ma ci restituisce l’uomo dietro la macchina fotografica.
Un ritratto documentario nel quale Combarro si confronta con il collega proprio come García-Alix si confronta con i soggetti che ritrae.
Il film si apre con un racconto personale e incredibile dell’incontro fortuito con una giovane donna che gli confessa di aver commesso un omicidio e il desiderio irrealizzato di prendere la sua immagine (è così che Alberto si riferisce alla fotografia) riconoscendo un limite oltre il quale le immagini possiamo solo vederle senza riuscire a fermarle.
Ne segue un racconto serrato tra il fotografo e la videocamera che lo riprende nel quale Alberto alterna considerazioni sul dispositivo fotografico (al quale giunge per puro caso) con quelle messe in tralice sulla sua vita personale trascorsa tra amori disattesi e la tossicodipendenza. Alberto racconta le volte che ha rianimato il fratello e che è stato a sua volta rianimato, l’Hiv e l’epatite con cui ha dovuto combattere e il cancro alla gola che gli ha modificato la voce in un suono rauco e appena distorto, che restano sempre nello sfondo anche quando ci racconta dei suoi viaggi (Parigi, Giappone) dei suoi progetti artistici, delle sue esperienze di vita.
Questo racconto però nonostante scaturisca dall’intimità che il soggetto García-Alix raggiunge con l’intervistatore Combarro (che non sentiamo mai porre alcuna domanda e che rimane sempre fuori dall’inquadratura) non è mail il racconto catartico di un’anima che chiede venga riconosciuta la propria soggettività di essere umano che ha sofferto, ma è sempre il racconto lucido e ponderato di un grande fotografo che si interroga sulla propria vita che restituisce in questo film proprio come restituisce il mondo che vede attraverso le sue fotografie.
Il film è girato in un bianco e nero splendido che fa da contraltare a quello di García-Alix che ne ha fatto la sua firma, grazie alla splendida fotografia cinematografica di Miguel Ángel Delgado.
I racconti di Alberto sono spesso in Voice over sulle sue fotografie in un gioco contrappuntistico dove la foto mostrata non ha mai una funzione esornativa rispetto quel che dice Alberto ma ne costruisce un commento ora confermativo, ora critico ora in aperta contraddizione con quanto detto, raccontato, da lui ricordato.
Spesso Alberto commenta le foto che ha scattato, soprattutto i tantissimi autoritratti, dei quali dà sempre una spiegazione che va al di là della fotografia scattata che, in quanto immagina, parla da sé.
Tantissime le foto che il film ci mostra. Ritratti, tantissimi, ma anche moto e, più di recente, dei paesaggi. Resoconti dei suoi viaggi e delle sue avventure ma anche della droga presente sempre nella siringa usata per iniettarla o anche la camicia del fratello, usata come simbolo della sua assenza visto che non è riuscito materialmente a organizzare un set di ripresa alla camera ardente quando è morto per overdose.
Il lavoro del fotografo e l’uomo dietro la fotografia sono restituiti magnificamente in questa alternanza narrativa visiva ma il film documentario non si ferma qui.
Combarro testimonia anche alcune sessioni fotografiche di un lavoro fatto da García-Alix in Cile nel 2015 mostrando la capacità che il fotografo ha di mettere a suo agio il soggetto ripreso e la genialità con cui manovra il cavalletto con testa snodabile della sua Hasselblad, una reflex a pozzetto di medio formato, per poi mostrarci non soltanto il risultato fotografico ma tutto il processo tra lo scatto e la foto stampata in camera oscura: la stampa fotografica (termine col quale ci si riferisce al processo di proiezione del negativo sulla carta fotosensibile che poi diventerà la fotografia) diventa così momento centrale di una lunga sequenza nella quale vediamo García-Alix usare l’ingranditore e poi sviluppare la carta fotografica mentre vediamo apparire nella vaschetta di sviluppo il volto del ragazzo che abbiamo visto essere fotografato in precedenza. Unica sequenza colorata di rosso del film che, una volta notoriamente oggi chissà, è l’unica luce in camera oscura che non interferisce col processo di stampa fotografica.
Una sequenza emozionante sia per chi non ha mai avuto la fortuna di andare in camera oscura sia per ci ci è stato e ricosse movimenti e segreti del mestiere (come la possibilità di modificare l’esposizione di parti dell’immagine usando delle cornici (delle palette o più semplicemente le mani) poste ingranditore e la carta fotosensibile.
Non è ancora tutto. Nel tempo García-Alix ha prodotto anche alcuni lavori video, alcuni dei quali prodotti in collaborazione con Combarro, dei quali il film ci mostra degli estratti nel loro formato originale, nei quali la poetica di García-Alix costruita sull’esperienza dello sguardo che diventa strumento di esplorazione e conoscenza del mondo che ci circonda acquista un significato ancora, un’altra declinazione, proprio come quella raggiunta da questo film magnifico, immenso, prezioso e indimenticabile che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di vedere in sala con il suo regista e direttore della fotografia.
Potete farvi un’idea del film andando a visitare il sito dedicato nel quale si possono visionare materiali aggiuntivi non compresi nel film ma che ne fatto così virtualmente parte.
Anche il sito di Alberto García-Alix merita una visita per vedere le sue foto e la cura che ha messo nel rendicontare il lavoro di una vita.
Uno dei tanti momenti ad alto tasso di emozione presente sempre in tutte le edizioni del Festival del Cine Español necessario e irrinunciabile al quale non saremo mai abbastanza grati di esistere.
(5 maggio 2019)
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