di Alessandro Paesano #Cinema twitter@gaiaitaliacom #CinemaSpagna
La dodicesima edizione del Festival del cine español di Roma si è aperta con il film di Isak Lacuesta Entre dos aguas (t.l. Tra due acque) (Spagna, Svizzera, Romania, 2018) che ha vinto la Concha d’oro all’ultimo Festival di San Sebastian. Il film riprende i personaggi di Los Pasos dobles, (t.l I passi doppi) (Spagna, Svizzera, 2006) col quale Lacuesta aveva già vinto una a San Sebastian.
Ritroviamo Isra e Cheíto, i due fratelli zingari e adolescenti di quel film, adulti. Cheíto lavora su una nave militare e, tornato da una lunga missione, deve riabituarsi alla vita a terra, mentre Isra, appena uscito di prigione, fa fatica a riguadagnassi la fiducia della moglie dalla quale ha avuto 3 figlie.
Girato in pellicola e in uno splendido formato panoramico (laddove il precedente Los Pasos dobles era girato in digitale) Lacuesta con questo film ritorna a San Fernando, nella baia di Cadice, tra le baracche sul mare, in una delle quali vive Isra dopo che è stato cacciato dalla moglie, in un paesaggio che rimanda al sole della villeggiatura per dei personaggi, gli amici di Isra, che si barcamenano invece tra lavori che non sanno mantenere e la tentazione del soldo facile fatto con lo spaccio di stupefacenti.
Impiegando due attori-fratelli presi dalla strada Lacuesta non ne cannibalizza le storie né vuole girare un documentario sulle loro vite, ma vuole usarne esperienze ed esistenze per un racconto cinematografico scritto e organizzato (Lacuesta firma la sceneggiatura assieme a Isa Campo e Fran Araújo).
La mdp di Lacuesta si caratterizza per una prossemica ridotta che si avvicina ai protagonisti ponendo il pubblico in uno spazio intermedio tra quello della soggettiva e quello dello stare a fianco mentre le vite dei due fratelli si fanno materia viva per la storia raccontata (come nella sequenza in cui la mdp entra nella sala parto per riprendere la nascita della terzogenita di Isra) capace però anche di inquadrature di più ampio respiro, come quando riprende Isra nel contesto sociale in cui fatica a inserirsi o quando la mdp stacca su un totale per riprendere il tuffo in mare di Isra e amici fatto dal ponte.
Il percorso di reinserimento di Isra nella società è ellittico, privo di molti momenti topici, come i lavori che Isra non riesce a mantenere, dei quali veniamo a conoscenza solamente per i commenti del fratello e della cognata che, senza efficacia alcuna, continuano a ricordare a Isra le sue responsabilità di padre di famiglia e della necessità di un lavoro che gli dia i soldi per la casa, il cibo e i vestiti.
A queste esortazioni che rasentano il tono della predica di chi si limita osservare senza fornire un aiuto o un esempio concreti, il film alterna lunghe sequenze (già in carcere) di un gruppo cattolico di ex carcerati e di donne del popolo che si confortano nel perdono e nella rinascita grazie a un rinnovato battesimo, da adulti, nell’acqua, conforto al quale, anche se apparentemente tentato, Isra non riesce ad abbandonarsi né a rassegnarsi. L’insoddisfazione del giovane uomo, al quale Lacuesta contrappone alcune sequenze tratte dal film precedente, nel quale è ancora un adolescente, in un intrigante ma non sempre chiaro gioco al riconoscimento (è davvero lui da giovane o un attore che gli assomiglia?) complice una barba che compare e scompare in varie sequenze del film, il racconto si slarga e cede a un flusso temporale che, man mano che il film si dipana, acquisisce una fisionomia pletorica e ridondante, fondamentalmente inutile (2 ore e 16 minuti sono davvero eccessivi) finendo col far girare il film a vuoto e ripetere sempre le stesse situazioni senza approfondimento alcuno.
Per cui tolta la freschezza del lavoro sugli attori che regalano ai personaggi molto (ma non tutto) delle proprie vere vite, il film finisce per diluirsi in un meccanismo narrativo poco incisivo, che resta alla superficie delle cose senza entrare mai in profondità, nemmeno dei personaggi.
(3 maggio 2019)
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