“Pearl”: l’angelo del focolare non è mai come sembra

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di Giuseppe Enzo Sciarra
Pearl, la protagonista del nostro film è un’esplosione di rabbia repressa annidata dentro di lei da tempo immemore, a causa di una situazione sociale marginale e di una madre castrante che soffoca le sue ambizioni e la sua dignità di essere umano, le quali, trovano nella vendetta verso un paese dalle false promesse (gli Stati Uniti d’America) – di cui le nevrosi e gli impulsi omicidi sembrano essere indotti da un sistema capitalistico dove gli esseri umani sono pedine e non sembrano essere contemplati – la misera rivalsa e l’inevitabile vendetta. Ty West sembra dirci neppure tanto velatamente in effeti che gli Usa hanno un talento nel fabbricare serial killer e nell’indurre le persone a disumanizzarsi in una società classista e di per se disumana con le sue apparenze e le sue follie normalizzate.

Il prequel di X: A sexy horror story la cui la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dall’attrice protagonista Mia Goth e da West è senza dubbio più di un horror ed nettamente superiore al predecessore. Questo genere che in Italia ormai è morto, nonostante qualche eccezione che resta marginale e molte prove indipendenti discutibili, riesce ancora a regalarci all’estero delle cose interessanti come Pearl che si presenta come una favola nera che cita il mago di Oz (il Kansas, il periodo storico in cui si svolge la vicenda, lo spaventapasseri), il cinema muto dei musical e dei porno illegali dell’epoca (è ambientato nel 1918 durante la prima guerra mondiale), e che omaggia nei suoi colori da tecnicolor (complimenti al direttore della fotografia, Eliot Rockett ), ancora l’omonimo film di Victor Fleming rendendo il Kansas della nostra Dorothy Dark un luogo perfetto per l’emarginazione e l’ignoranza dove passare la propria vita fino alla fine dei propri giorni illudendosi che una rinascita sia vicina.

Pearl vorrebbe fare la ballerina di vaudeville, ha talento, grinta, bellezza e tanta voglia di farcela come richiede il sogno americano alle sue vittime sull’altare della patria  – utilizzo proprio questo termine desueto e anacronistico, in Italia ritornato attuale per i ben noti motivi. A causa di un marito al fronte che l’ha lasciata sola con un padre malato a cui badare e una madre rigida, rigorosa, credente intransigente al limite del patologico – e qui i paragoni con la madre di Carrie lo sguardo di Satana si sprecano, ovviamente il personaggio ricalca volutamente quello inquietante di Margarethe White di Piper Lane – la ragazza vive sommessamente le proprie ambizioni, subendo le angherie di una madre che vuole metterla in guardia in maniera sbagliata su un sogno americano che non è a portata di tutti, come vogliono fare credere. Sarà lo scontro con la realtà e con le sue ingiustizie a provocare un corto circuito nella povera Pearl che resasi conto che il suo mito del successo è fasullo reagirà alla sua maniera a questo tradimento.

Presentato fuori concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia con una Mia Goth d’antologia, Pearl è un film drammatico, dai colori rosso sgargianti come il sangue delle vittime della follia della nostra Dorothy 2.0. Se gli Academy Award avessero meno pregiudizi verso un genere come quello horror meriterebbe almeno una candidatura come miglior film e come miglior protagonista alla Goth che si porta a casa la miglior interpretazione della sua carriera, imparando la lezione da celebri psicopatiche portato sul grande schermo da attrici come Joan Crowfoard o Bette Davis, dove l’angelo del focolare angelo non è.

 

(1 gennaio 2022)

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