di Alessandro Paesano
Goutte d’or (t.l. “Goccia d’oro”) (Francia, 2022) di Clément Cogitore si apre con una serie di inquadrature che riprendono le manovre notturne di un gruppo di netturbini, tra ruspe e camion che riversano il loro contenuto di scarti sul suolo, finché uno di questi carichi non riempie e oscura l’inquadratura.
Il film ci racconta, per ellissi e avvicinamenti continui, del medium Ramsès (Karim Leklou) che opera nel suo cabinet de voyance. La clientela del Cabinet è composta da persone che vogliono entrare in contatto con dei parenti defunti, sorelle, padri, mariti.
Ramsès sembra conoscere davvero circostanze della vita e della morte delle persone defunte con le quali gli viene chiesto di mettersi in contatto.
Nel dipanarsi del racconto capiamo che la veggenza di Ramsès ha una base prosaica e razionale (grazie a una serie di collaboratori riesce a consultare i cellulari e i social della clientela e a risalire a nomi e circostanze di vita e di morte) e che il suo vero dono è di entrare in contatto empatico con le persone che lo consultano restituendo loro un racconto credibile e commovente.
Nonostante questo rapporto di sfruttamento economico (Ramsès convince tutta la sua clientela che qualcuno vuole loro del male per indurla a tornare e a dargli altri soldi) il veggente sembra subire le prepotenze delle altre persone del quartiere che vivono di espedienti più o meno come lui.
Finché l’incontro con un gruppo di giovanissimi migranti dalla Tunisia che cercano i suoi servizi per ritrovare il fratello di uno di loro non impone alla vita di Ramsès una svolta imprevedibile.
Ramsès viene colpito da una vera illuminazione e trova il cadavere del ragazzino scomparso proprio nella discarica che abbiamo visto all’inizio del film.
Goutte d’or, il nome di una via del quartiere periferico di Barbès a Parigi, ma, nel film, anche un monile e il soprannome che verrà dato a Ramsès, è sviluppato su delle coordinate narrative suggestive che non ci vengono date nella loro interezza ma sulle quali il pubblico deve orientarsi in una navigazione a vista, improvvisando come fa Ramsès con la sua clientela finché annaspando in un racconto fatto di continui slittamenti tematici ed ellissi narrative il pubblico non viene investito dalla stessa epifania che colpisce Ramsès e comprende che la statura morale dubbia e criticabile del protagonista non gli impedisce ogni volta di poter scegliere di fare il bene in un continuo alternarsi tra individualismo e corpo di classe. Così il pubblico di fronte a un personaggio un po’ monade e un po’ corpo sociale finisce col ritrovare in lui qualcosa di sè, una speranza, un dubbio.
Goutte d’or è una delle migliori produzioni cinematografiche occidentali degli ultimi anni, che dimostra come Cogitore, che conoscevamo come artista (chi ha avuto la fortuna come noi di assistere alla mostra Notturni all’ex Mattatoio di Roma, conosce lo spessore delle istallazioni di questo artista che riflette sul rapporto tra essere umano e immagini, indagando sulla loro funzione manipolatrice) dirige un film che riesce a raccontarci di culture e antropologie altre senza scadere mai nel gusto per l’esotismo o, peggio, nei facili sociologici della sinistra radical chic.
Il film vede la collaborazione di attori professionisti e non (i ragazzini che interpretano i migranti di Tangeri, che, ha raccontato Cogitore in sala dopo la proiezione, fossero stati presenti in sala anche loro sarebbero stati educati e timidi tanto quanto sono violenti e aggressivi nel film) dimostrado la bravura del cineasta nel dirigere entrambi facendo restituire loro l’essenza dei personaggi da lui immaginati e scritti (anche grazie al frutto di ricerche storiche, come i ragazzini per i quali si è ispirato a un vero gruppo di giovanissimi che ha imperversato per le strade di Barbès senza che la polizia o le associazioni culturali riuscissero a entrare in contatto con loro).
Goutte d’or restituisce tutta la complessità necessaria quando si parlare dello sfruttamento e della sperequazione sociale senza farne un’occasione per un facile giudizio o, peggio, una denuncia populista, e nemmeno per cercare facili aspetti di umanità vulnerabile che giustifichino lo status quo.
Al contrario Goutte d’or chiede al suo pubblico di sospendere il giudizio e cominciare ad agire, qui e ora in sala mentre guarda un film ad alto tasso di interpretazione e, ci si augura, dopo, fuori alla sala, nella vita reale dove nostro malgrado siamo destinati e destinate a tornare.
Uno dei momenti più alti nella programmazione di quesa tredicesima edizione di Rendez-vous.
(1 aprile 2023)
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