Nel mondo dell’arte, Jole De Sanna (Martina Franca, 29 Novembre 1947 – Massafra, 25 Giugno 2004) era un’entità luminosa e impalpabile, quasi un soffio di vento misterioso che, con un sorriso dolce e sognante, sussurrava i segreti nascosti nei materiali e nelle forme. Non era una storica dell’arte comune, lei. Quando appariva, con quella chioma color ruggine che sembrava risplendere al sole, non c’era bisogno di chiedersi chi fosse: De Sanna brillava, ma senza clamore. Preferiva scivolare tra le righe, lasciare tracce silenziose e dense, quasi come un enigma che pochi potevano risolvere.
Il suo debutto, nel 1976, avvenne come un piccolo miracolo al Museo di Verbania, con la mostra Apatico. Lì, mescolava con abile sfrontatezza i pensieri dei grandi maestri e le voci degli artisti contemporanei, creando un’opera che si dispiegava tra passato e presente, tra Bernini e Brancusi, tra Canova e Fontana, come un ponte tra epoche lontane ma stranamente vicine. Una summa, sì, ma viva, vibrante, e così fuori dagli schemi da sembrare una danza di parole e sculture che solo lei poteva orchestrare.
Era innamorata delle parole degli artisti. Per lei, ogni scritto era una finestra sul cuore dell’arte, e non sorprende che abbia curato con dedizione maniacale i testi su Medardo Rosso e Lucio Fontana, pubblicati da Mursia negli anni ‘80 e ‘90. Ciascuno di quei libri era per lei una piccola consacrazione, un atto d’amore verso i creatori che venerava in silenzio.
Ma Jole De Sanna non amava gli applausi. Era lì, nella penombra, pronta a dare senza chiedere, a sostenere gli altri senza mai comparire in prima linea. La Casa degli Artisti a Milano, fondata con gli amici artisti, non era solo uno spazio: era il suo tempio segreto, un luogo dove l’arte poteva respirare libera, lontana dagli sguardi impazienti del mercato.
E in questa sua dedizione totale, talvolta quasi mistica, capitava di incrociarla con lo sguardo acceso, gli occhi luccicanti di eccitazione per una scoperta appena fatta. Aveva un’innocenza quasi divina, un entusiasmo da bambina che la rendeva ancora più amata da chi la incontrava. Perché Jole era lì, ma sempre anche “altrove,” in un mondo tutto suo, tra i suoi fantasmi e le sue ispirazioni, tra Clorinda e Ariel.
Negli ultimi anni si era immersa di nuovo negli scritti di De Chirico, trovando nuovi echi e suggestioni da donare al mondo, anche se quasi nessuno sembrava accorgersene. Ora, però, un vuoto si sente, e stride: nessuno, all’Accademia di Belle Arti di Milano, si è mai fermato per ricordarla. Forse era davvero troppo invisibile, troppo pura, per un mondo che applaude solo i più rumorosi.
Jole de Sanna era una di quelle rare figure capaci di plasmare il mondo dell’arte non solo attraverso le sue parole, ma anche con l’acutezza del suo sguardo e l’eleganza della sua mente. Critica d’arte raffinata, profonda conoscitrice di storie artistiche spesso nascoste o poco battute, Jole aveva la rara abilità di leggere le opere d’arte come chiari testi di un tempo passato e, al contempo, come vivide visioni del futuro. Non era una semplice interprete, ma un’architetta dell’immaginazione che sapeva costruire ponti tra il visibile e l’invisibile.
La sua voce non era mai quella altisonante del dogma, ma piuttosto un sussurro intimo e illuminante, quasi fosse una compagna di viaggio dell’artista, seduta lì accanto a raccontarne l’opera, non come spettatrice, ma come una confidente. Jole era capace di farci amare le opere per ciò che erano e per ciò che significavano, senza mai imporre una lettura definitiva, ma aprendo invece porte a riflessioni e interpretazioni infinite.
Nel panorama dell’arte, era una figura autorevole, sì, ma anche incredibilmente accessibile, amata da studenti, artisti, e curatori per la sua umanità e la passione contagiosa. Il suo ricordo è quello di una donna che credeva profondamente nella cultura come esperienza da condividere, capace di lasciare un segno indelebile non solo sulle pagine che scriveva, ma nei cuori di chi ha avuto il privilegio di conoscerla.
Era un’intellettuale dall’intuito raffinato, capace di muoversi tra le pieghe dell’arte con la sensibilità di chi sente una profonda empatia per ogni gesto creativo. Il suo approccio non si limitava alla critica tradizionale; ogni sua parola sembrava portare un senso di scoperta e riscoperta, capace di offrire nuovi significati e prospettive inaspettate sulle opere e sugli artisti.
Dagli anni Ottanta, Jole è stata una voce unica nel panorama italiano, lavorando con l’Arte Povera e, più tardi, collaborando a stretto contatto con l’Archivio Lucio Fontana, contribuendo alla catalogazione delle opere dell’artista. Per lei, Fontana non era solo l’autore degli iconici “tagli”, ma un poeta dello spazio, un visionario capace di aprire “ferite” di luce nel tessuto della realtà. Questo tipo di visione, intensa e personale, rendeva le sue letture non solo affascinanti, ma anche necessarie per chi volesse addentrarsi davvero nella poetica degli artisti che studiava.
Insegnare per lei non era solo trasferire conoscenze, ma creare uno spazio di dialogo, in cui si rifletteva insieme sugli enigmi dell’arte. Riusciva a trasmettere una passione viscerale, quella che trasformava le sue lezioni in viaggi emotivi attraverso secoli di creatività, come se ogni artista, da Caravaggio a Fontana, le confidasse segreti da condividere solo con chi sapesse ascoltare davvero.
Il suo ricordo è una presenza, un’eco che risuona ancora oggi tra le pagine dei suoi scritti, nelle conversazioni degli allievi e dei colleghi, e in quelle rare intuizioni che ci fanno riscoprire un’opera con occhi nuovi. È questa l’eredità di Jole: una mente innamorata dell’arte, e un cuore che batteva al ritmo della scoperta.
Con la sua vasta produzione critica, ha lasciato contributi essenziali all’interpretazione dell’arte contemporanea e moderna, specialmente in ambito italiano. Ecco alcuni dei suoi volumi principali e il loro impatto nel panorama artistico:
- “Lucio Fontana: Catalogo Generale delle Sculture, Dipinti, Ambientazioni” – Questo catalogo è uno dei lavori più importanti di de Sanna. Curato in collaborazione con l’Archivio Lucio Fontana, il volume raccoglie un’esaustiva documentazione delle opere dell’artista, fornendo non solo una guida visiva e tecnica, ma anche un’analisi profonda del linguaggio artistico di Fontana. Jole interpretava i “tagli” come esplorazioni dello spazio e della luce, offrendo una lettura poetica delle sue opere, che per lei rappresentavano ferite aperte nel tessuto della realtà.
- “Lucio Fontana e il Terzo Concetto dello Spazio” – Qui, Jole approfondisce il significato concettuale dello “spazio” in Fontana, ponendo l’accento su come l’artista abbia scardinato le convenzioni della pittura e della scultura tradizionale. Il libro è denso di interpretazioni filosofiche e riflessioni sul rapporto tra vuoto e materia, e viene considerato un testo di riferimento per chiunque studi l’evoluzione dell’arte spazialista.
- “Piero Manzoni. Vita d’artista” – In questo volume, de Sanna si concentra su Manzoni, tracciandone un ritratto non solo come artista, ma come figura rivoluzionaria. Jole esplora il legame tra vita e arte, analizzando opere come la celebre “Merda d’artista” e i “Corpi d’aria” con un’ottica che va oltre il gesto provocatorio. Ne emerge un Manzoni intimo e complesso, impegnato in un dialogo incessante con la società e con il proprio tempo.
- Saggi e contributi in cataloghi e riviste – Jole de Sanna era anche una prolifica autrice di saggi pubblicati in cataloghi d’arte e riviste specializzate. Scrisse su artisti come Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto e Alberto Burri, trattando temi dall’Arte Povera alla riflessione concettuale sull’arte come processo. Ogni saggio era un’immersione nella poetica dell’artista, caratterizzato dalla sua prosa vibrante e accurata.
Il suo lavoro è fondamentale perché unisce rigore accademico e sensibilità poetica, rendendo accessibili tematiche complesse anche a chi si approccia per la prima volta all’arte contemporanea. La sua bibliografia continua a essere una risorsa preziosa, non solo per studiosi, ma per chiunque desideri avvicinarsi con profondità all’arte italiana del Novecento.
Ha curato diversi volumi che rispecchiano il suo profondo interesse per l’arte contemporanea e per la ricerca di nuovi linguaggi espressivi. Ecco alcuni dei volumi da lei curati, che mettono in luce il suo contributo come curatrice e studiosa:
- “Aldo Mondino. Catalogo generale” – Questo catalogo rappresenta uno studio completo sull’opera di Aldo Mondino, noto per la sua ironia e per l’uso innovativo di materiali. Jole esplora il percorso eclettico dell’artista, il suo approccio trasgressivo ai canoni dell’arte e la sua capacità di mescolare culture diverse, dalla tradizione italiana a influenze orientali e africane. La cura di de Sanna permette di cogliere il senso giocoso e sperimentale delle sue opere, rendendolo un volume essenziale per chi studia l’artista.
- “Luce e ombra. Arte in Italia 1960-1985” – In questo volume collettivo, Jole de Sanna ha curato la sezione dedicata all’Arte Povera, un movimento che ha esplorato con grande dedizione. Il libro analizza l’evoluzione dell’arte italiana nel periodo post-bellico, concentrandosi sulla relazione tra materiali semplici e la capacità di trasmettere significati profondi. De Sanna inserisce l’Arte Povera in un contesto più ampio, ponendola in dialogo con altri movimenti artistici e fornendo un’interpretazione delle opere che sottolinea la loro poetica essenziale.
- “Giulio Paolini. Catalogo ragionato delle opere” – La cura di questo catalogo ragionato conferma la capacità di de Sanna di valorizzare artisti concettuali. Paolini, noto per la riflessione sulla natura dell’arte e del processo creativo, viene interpretato da Jole come un artista-filosofico, che mette in scena l’arte come autocoscienza e riflesso del pensiero. Il catalogo raccoglie una ricca documentazione delle opere, accompagnata dalle analisi lucide e profonde di de Sanna, che aiutano a cogliere la delicatezza delle riflessioni di Paolini.
- “Arte Italiana. Presenze 1900-1945” – Questo volume esplora le radici dell’arte moderna in Italia, con contributi su artisti che hanno segnato il primo Novecento, come Giorgio de Chirico, Carlo Carrà e Mario Sironi. De Sanna si occupa di vari capitoli dedicati ai movimenti d’avanguardia e al loro impatto sulla società italiana, offrendo uno sguardo che va oltre la semplice catalogazione per entrare nei contesti storici e culturali che li hanno generati. Le sue analisi si soffermano sul modo in cui questi artisti hanno elaborato nuovi linguaggi per rappresentare le tensioni della modernità.
Ogni volume curato da Jole de Sanna riflette il suo impegno a documentare e interpretare l’arte in modo rigoroso ma coinvolgente, rendendo accessibili percorsi creativi complessi. La sua opera di curatrice non è solo un supporto alla conoscenza dell’arte, ma una guida che apre nuovi orizzonti, rendendo questi libri strumenti preziosi per studiosi, studenti e amanti dell’arte.
Ecco alcune informazioni sui volumi curati da Jole de Sanna su Medardo Rosso, Luciano Fabro e Hidetoshi Nagasawa, oltre a qualche nota sulla Casa degli Artisti di Milano.
Volumi su Medardo Rosso, Luciano Fabro e Hidetoshi Nagasawa
- Medardo Rosso – Jole de Sanna ha dedicato numerosi studi a Medardo Rosso, scultore che ha rivoluzionato la rappresentazione della figura umana e della luce. Nei volumi da lei curati, de Sanna ha esplorato la ricerca di Rosso sull’impressione fugace e sulla dissoluzione della forma. Medardo Rosso è stato tra i primi artisti a capire che la scultura poteva “catturare” non solo il soggetto, ma anche l’atmosfera intorno. Jole ha interpretato il lavoro di Rosso come un ponte tra l’impressionismo e l’arte moderna, soffermandosi sui suoi bronzi e cere, con un’attenzione particolare per l’effetto “materico” della luce.
- Luciano Fabro – De Sanna ha curato cataloghi e saggi critici su Luciano Fabro, esponente di spicco dell’Arte Povera, esplorando la sua riflessione su temi come l’identità culturale e la trasformazione dei materiali. Le opere di Fabro si confrontano spesso con la storia e l’architettura, e de Sanna ha sottolineato come i suoi lavori abbiano una dimensione “costruttiva” che rimanda alle tradizioni italiane, ma con un approccio contemporaneo. Nei cataloghi curati da de Sanna, il lavoro di Fabro viene esaminato per la sua capacità di trasmettere complessi significati concettuali attraverso materiali essenziali e forme innovative.
- Hidetoshi Nagasawa – L’artista giapponese, noto per le sue sculture e installazioni che fondono spiritualità orientale e cultura occidentale, è stato oggetto di attenzione di Jole de Sanna per il suo approccio meditativo alla scultura. Nei volumi curati su Nagasawa, de Sanna ha approfondito il tema della leggerezza e della tensione, concetti che l’artista esprime attraverso opere in equilibrio precario, come fossero sospese tra cielo e terra. Jole ha interpretato Nagasawa come un ponte tra due mondi culturali, capace di rappresentare il vuoto e il pieno, la stabilità e il movimento, in un dialogo silenzioso con la natura e lo spazio.
La Casa degli Artisti a Milano
La Casa degli Artisti di Milano, fondata nel 1909, è uno spazio storico per la creazione e la promozione artistica. Situata nel quartiere di Brera, era nata con l’intento di fornire un luogo di lavoro e scambio per artisti emergenti e affermati. Dopo anni di inattività, è stata recentemente restaurata e riaperta, tornando a essere un centro per residenze d’artista, mostre e laboratori. La Casa è diventata un simbolo dell’interazione tra arte e comunità, promuovendo progetti multidisciplinari che coinvolgono artisti italiani e internazionali, in linea con lo spirito inclusivo e dinamico della Milano contemporanea.
Quando ripenso a Jole de Sanna, a quella sua figura che il tempo ha reso quasi eterea, emerge un’immagine fatta di pacata intensità, un’autorevolezza sottile e luminosa, impressa nel suo modo di essere donna ancor prima che studiosa d’arte. Era l’autrice di un’eleganza silenziosa, che non aveva bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare; una protagonista della scena artistica italiana che si muoveva con discrezione, rivelando una potenza ben lontana dall’autocelebrazione. Sin dagli anni Settanta, giovane ma lucida, già avvolta da una determinazione naturale, Jole preferiva lavorare nell’ombra, lontano dai riflettori, con una dedizione quasi mistica.
Non era fredda né distante; anzi, dietro quella riservatezza si celava un entusiasmo febbrile per la scoperta e per lo studio. Lea Vergine, in uno dei ricordi più vibranti lasciati dopo la sua scomparsa, la dipinse come una sorta di creatura incantata: “La si ricorda trasognata o, più spesso, accesa da un ardore filologico, con quel sorriso un po’ infantile e gli occhi luminosi, che raccontavano di mondi e scoperte come in un sogno”. Jole sembrava vivere tra noi come sospesa, a metà tra realtà e mito, come un’Ariel o una Clorinda che, con passione quasi incondizionata, si lasciava travolgere da impeti di dedizione. E per chi l’ha conosciuta, per quegli artisti a cui ha dedicato il cuore e per chi ha cercato in lei un conforto, è rimasta indelebile quell’aura di dolcezza e abnegazione.
Nel suo ruolo di intellettuale, riusciva a trasformare questo fervore in un pensiero solido, che non si perdeva in emotività, ma che conservava uno spessore autentico, privo di artifici e superficialità. Il suo studio era come un riflesso della sua anima: profondo, mai scontato, sempre teso verso l’autenticità.
In questo intricato labirinto di idee e sensazioni, mi azzarderei a proporre una definizione che, seppur insolita e parziale, possiede una potenza espressiva notevole. Nel catalogo della mostra collettiva Aptico. Il senso della scultura, curata da Jole de Sanna al Museo del Paesaggio di Verbania nell’estate del 1976, emerge una definizione corale, concepita dalla stessa de Sanna insieme a Luciano Fabro, Hidetoshi Nagasawa e Antonio Trotta. Le loro parole sono una sinfonia di concetti, che recitano:
«Una scultura è l’immagine che un artefice suscita nella materia secondo fini e modi ispirati dalla sua idea e senso. La scultura tiene chi la vede per la carne: questa unione forma un senso ulteriore, il senso aptico (apto = toccare, aderire, unire, legare, insieme), il senso della scultura.»
Il catalogo della mostra “Aptico, il senso della scultura” si presenta come un sagace viaggio nella storia della scultura, dalla Grecia di Fidia fino agli anni Settanta, e la copertina non poteva che essere il tributo perfetto: un dettaglio del Ratto di Proserpina di Bernini (1621-1622). In primo piano, la mano di Plutone affonda le dita nella coscia di Proserpina; sotto quella pressione divina, la pelle marmorea della dea sembra cedere e si costella di delicate concavità, come se il marmo si trasformasse in carne viva, pulsante. Qui si compie l’effetto Pigmalione, il miracolo di rendere sensuale ciò che per sua natura è rigido e freddo. La superficie del marmo riluce di un morbido chiarore, evocando la consistenza vellutata del burro.
Questo dettaglio è solo un assaggio della dimensione carnale dell’aptico, che non si ferma a sollecitare i sensi: come suggerisce Micla Petrelli, è altrettanto fondamentale esplorare il tatto nella sua assenza fisica, quella sensazione che si fa conoscenza analitica, rivelando il potenziale di una scultura di comunicare senza contatto, attraverso un misterioso sapere sensoriale che sfida e accarezza la mente.
Un sipario che si apre lentamente su una scena fatta di chiaroscuri e bagliori alchemici. Ecco Jole de Sanna, musa e studiosa, che si muove con passo deciso tra le ombre e le luci di un teatro della mente, ispirata dalla filosofia poetica di Maria Zambrano. In questo gioco di riflessi, de Sanna affonda le sue mani nella materia metafisica, inseguendo il filo di pensiero che unisce Nietzsche a Picasso, passando per il labirinto di ombre e specchi che è l’universo di de Chirico.
Nei suoi studi, come nella Postfazione a “Ebdòmero” di de Chirico, de Sanna esplora un “sapere dell’anima”, un approccio che è insieme metodologico e profondamente antropologico. Qui la critica d’arte si trasforma in una vera estetica della purezza, in un’indagine sui segreti dei processi creativi. È come se de Sanna tenesse uno specchio davanti al genio di de Chirico, non solo riflettendone le forme, ma anche svelandone i significati nascosti, scandagliando con metafore profonde il simbolo dell’ombra, della foresta e del labirinto.
Attraverso il prisma di figure come Duchamp, Magritte e Nietzsche, ma anche di poetesse e visionarie come Zambrano, de Sanna costruisce un dialogo tra parola e immagine. In questo dialogo si avverte un’eco della “Vita Nova” dantesca, dove ogni immagine è una parola e ogni parola diventa immagine. La tela e il verso si sdoppiano, diventano entità metafisiche che conducono chi le osserva in una “vita–foresta”, dove il bosco è il simbolo di una rinascita.
Ma la forza del pensiero di de Sanna non si limita alla pittura o alla poesia; si espande in un abbraccio filosofico che trova eco in de Maistre e nel suo viaggio immaginario “attorno alla stanza”, simbolo della scoperta intima e notturna dell’anima. Con questo bagaglio di riferimenti, de Sanna intesse una “ragione poetica” che esplora la condizione umana come un percorso utopico, un cammino verso l’arte come massima espressione di purezza.
In una visione che mescola Ortega y Gasset e Unamuno, de Sanna sembra ricercare quel “sogno creatore” di cui parla Zambrano, una dimensione onirica che si riflette nei toni fantastici di Borges e Buñuel. La sua lettura dell’arte non si limita alla superficie delle opere, ma cerca di penetrare l’essenza stessa del fare artistico, guardando alla pittura come parola e alla parola come pittura. Ecco allora il doppio, la maschera, che diventa strumento per toccare il sacro, un “mistero laico” caro anche a Cocteau.
Jole de Sanna ci conduce, così, in una cesellatura di riflessioni dove la filosofia e l’arte si intrecciano in una geografia di simboli che attinge da Platone e approda al contemporaneo. Per lei, l’arte è una metafisica che resiste, una finestra aperta su un eterno presente che, come direbbe Nietzsche, ritorna, unendo il passato e il presente in un dialogo senza tempo.
(27 novembre 2024)
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