di Effegi
C’è un modo in cui la pittura può farsi memoria, e insieme sogno, nostalgia, preghiera? Nell’universo di Marc Chagall la risposta sembra sempre sospesa tra cielo e terra, come i suoi sposi fluttuanti o i violinisti che danzano sul tetto del mondo. Nulla, nella sua opera, appartiene interamente al reale: eppure tutto proviene da un’esperienza storica e personale lacerata, nutrita di persecuzioni, di esilio, di perdita. Nato nel 1887 a Vitebsk, in una comunità ebraica dell’impero zarista, Chagall non ha mai smesso di dipingere ciò che la memoria non poteva più trattenere se non attraverso il colore: la madre col pane, le case che volano, il gallo mistico, il villaggio in fiamme, gli amanti che si cercano tra le rovine. Il suo linguaggio, solo in apparenza ingenuo, diventa uno strumento di sopravvivenza poetica — un modo di reinventare il mondo dopo la catastrofe.
Da questa tensione fra incanto e ferita prende le mosse la grande mostra Chagall. Testimone del suo tempo, che dal 11 ottobre 2025 all’8 febbraio 2026 trasformerà il Palazzo dei Diamanti di Ferrara in un itinerario attraverso la memoria del secolo. Promossa dalla Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con Arthemisia e curata da Paul Schneiter e Francesca Villanti, l’esposizione raccoglie oltre duecento opere – dipinti, gouaches, incisioni, disegni, illustrazioni – componendo un mosaico in cui la biografia dell’artista si intreccia con la storia collettiva.
Il percorso espositivo non cerca di spiegare Chagall, ma di ascoltarlo. Ne segue le migrazioni, da Vitebsk a Parigi, da Mosca a New York, e di nuovo in Francia, restituendo la sua voce di “esiliato universale”. Lungi dal farsi cronaca, la sua pittura trasfigura i traumi del Novecento in visioni sospese: un Cristo crocifisso con il tallit, un violinista che accompagna la fuga di un popolo, un villaggio che si scioglie nel blu come un sogno perduto. La modernità che Chagall abita non è quella delle macchine e delle ideologie, ma quella dell’uomo scacciato, dell’artista che porta con sé, come un’icona infranta, la nostalgia di un mondo irrecuperabile.
Così, attraverso le sale della mostra, emerge una verità più ampia: che la pittura di Chagall, pur lontana da ogni programma politico, è una delle più potenti testimonianze spirituali del secolo. Testimonianza non di fatti, ma di sopravvivenze: di come, nel cuore stesso della tragedia, l’immaginazione possa continuare a volare.
(6 ottobre 2025)
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