Bo Summer’s, le locuste nella XXVI edizione del Salone del Libro di Torino

Altra Cultura

Condividi

Salone del Libro Torino 00di Bo Summer’s  twitter@fabiogalli61

Ho provato, per gioco o per una sorta di estrema nostalgia (come già un blasonato autore, che credevo mi stimasse, ebbe a farmi notare, non molto tempo fa, che tanto la mia è una “lamentazione priva di premesse realistiche e fitta di fantasmizzazioni negative”), a leggermi il programma degli ospiti del Salone del Libro di Torino notando davvero come, da una parte, ci siano piccoli congressi di interesse anche piacevolmente e puramente accademico, i quali, ovviamente, resteranno come oasi nei deserti e dall’altra veri e propri spettacoli televisivi, arene alla Massimo Giletti, dove si strillerà il proprio strapotere editoriale o si pontificherà per il piacere esibizionistico e la vanagloria degli scrittori stessi. Incontri letterari, insomma, che prevedono spettatori e non lettori.

Il Salone del libro pieno davvero di disdicevoli presenze gossip, come fossero appunti per merlettaie, con buona pace per le stesse care signore che risultano essere, al contrario, ottime artigiane dello Stile, e magari con le imprecazioni sommesse, dietro ai palchi degli strafottenti esibendi (ce ne fosse uno, dico uno, mai intimorito dalla presenza di persone che lo ascoltano: tutti grandi attori, rappresentanti superbi della propria arte oratoria, imbonitori, che parlano a braccio e fanno i piacioni), che si annusano nell’aria fra gli stand di qualche piccolo editore che nel suo lavoro di voler fare cultura crede ancora, davvero. E poi, chissà perché, si ritrova a infognarsi, ogni volta, in questa Babele della visibilità ostentata.

Mi piacerebbe davvero che, se mai dovesse ancora sopravviverci questoSalone del Libro Torino 02 delirio e smacco alla cultura, il Salone potesse davvero venire trasmesso direttamente in televisione. Come un virus letale. Subito dopo un seguitissimo programma di cucina di Antonella Clerici in modo da ereditarne lo stesso festante spettatore. Credo che il Salone del Libro di Torino rappresenti davvero tutto lo stato basso della nostra letteratura provinciale e del nostro farlocco mecenatismo editoriale, con tutte le rabberciate e clientelari presenze nei programmi di Fabio Fazio per promuoverne non una scrittura o uno scrittore ma questo o quel prodotto editoriale.

Non è blasfemia scrivere che la grande editoria italiana è un enorme supermercato, una cloaca colpevole soltanto di ridurre i lettori a consumatori ottimali e non più identificabili. Ma di questi tempi, ormai, gli stessi consumatori iniziano ad essere dei corpi consunti, come certe magliette che abbiamo riposto nell’armadio, logore e inutilizzabili, e di certo i libri non sono tra le loro priorità, mi pare. Basta entrare in un qualunque megastore Feltrinelli o Mondadori per rendersi conto di cosa acquista davvero la gente. Questa è la verità. Rendiamocene conto.

Il Salone del Libro di Torino, dicevamo: quanto, in Italia, manifestazioni come questa, sono fino in fondo rappresentative di un certo stato di salute della nostra piccola letteratura fatta di orticelli coltivati da una editoria italiota? e quanto, davvero, possono risollevare le sorti della nostra cultura laterale?

Ma, poi, quanta distanza dobbiamo ancora coprire per avvicinarci, non tanto, un poco almeno, alle kermesse internazionali come la Buchmesse di Francoforte?

 

Il Salone del Libro vorrei che l’anno prossimo non ci fosse più. Finalmente. Per sempre. Non ha davvero alcuna influenza su eventuali strategie editoriali o sulla scoperta di nuovi talenti. E men che meno ci parla di una nuova editoria. A tal proposito pare che abbiano scoperto che esistono i social network.

E così, anche quest’anno, il Salone porterà sui suoi palcoscenici di carta straccia la rappresentazione della crisi, anche civile e politica, che stiamo vivendo. E così, girando fra gli stand, si sentirà dire dalla gente, come sempre: “Andiamo a vedere quello scrittore famoso che è stato anche ospite in quel programma”. Sì, dicono proprio “andiamo a vedere” al posto di “andiamo ad ascoltare”. Questo è davvero significativo di uno stato delle cose.

Salone del Libro Torino 01I frequentatori sono davvero sempre stati ogni anno in aumento, fin dagli esordi del Salone, che ai bei tempi frequentai lavorando per un piccolo editore, perché, ogni anno, crescono le frotte di scolaresche, le cavallette di ogni fascia di età, costrette a visitare questo zoo delle pagine, il solito zaino di buona marca in spalla, e che non fanno altro che chiedere gadget, cataloghi, omaggi e borse per contenerne il bottino. Il Salone può destare, in loro, interesse quanto intraprendere un viaggio in terre lontane può essere questione di vita per un sedentario incallito.

Come al solito non mancherà niente per nessuno, nemmeno per i ragazzini, è un Luna Park con tante lucette accese giostre e mostri che blablabla sberciano a proposito della loro ultima creatura. Gradirei di più il silenzio rabbioso di Anna Maria Ortese.

Mi piacerebbe che questa volta, il Salone del Libro, sancisse, per sempre, la propria fisica morte. Per comprendere l’utilità di una benché minima sua esistenza necessaria, invece, non si è dovuto attendere molto solo per intuire, già fin dai primi anni, che non ce ne saremmo mai fatta una ragione.

Sono convinto che anche quest’anno dichiareranno piena soddisfazione per il numero dei visitatori paganti e gaudenti, le locuste dell’ottava piaga d’Egitto. Le orde dei barbari fra la mercificazione del pensiero. Ma forse tutto questo lo scrivo perché non vengo invitato.

 

©gaiaitalia.com 2013 Bo Summer’s 2013
riproduzione vietata
 
 

 

Pubblicità