di Bo Summer’s twitter@fabiogalli61
Nasceva oggi, 21 maggio del 1952, a Milano, Mario Mieli. È stato filosofo, scrittore, teorico degli studi di genere, attivista del movimento omosessuale del quale è considerato uno dei fondatori.
Con l’esaurirsi delle gioiose utopie dei collettivi, l’ultima fase della vita di Mieli coincide, con una presa di distanza critica dall’evoluzione del movimento omosessuale, nel quale non si riconosce più. Una crescente attenzione alle tematiche ecologiste e antiatomiche, il fascino oscuro dell’alchimia, con i suo risvolti coprofagi, e infine il suicidio, il 12 marzo 1983, un vero e proprio capolavoro di estremo narcisismo oppure, se preferite, un magistrale esempio di masochismo che può sublimare, se usato come gesto politico, l’istinto di morte della Norma eterosessuale.
Alla Norma, Mieli oppose, tutta e completamente, l’assunzione e la pratica di ogni possibile perversione, per restituire agli individui l’unica condizione originaria di transessualità, la trasversalità vera e propria del sesso inteso come libera e plurale espressione delle tendenze dell’erotismo. A dimostrazione, e ne conveniamo quasi tutti, almeno da queste parti, in questo sito che si preoccupa di pubblicarmi caramente, che le perversioni sono tappe inevitabili, lungo il buon cammino dell’Eros, dell’emancipazione, per la rottura di ogni tabù. Così bisognerebbe leggere quella che, a tutt’oggi, è la più discussa delle provocazioni di Mario Mieli: la trasformazione alchemica della rivendicazione del piacere del buco del culo in elogio della coprofagia, che è sia provocazione d’estasi, declinata in forma di performance teatrale, sia momento privato di esplorazione del desiderio. Freud?, Sade?, Paracelso?, ’sta Grancippa?, tutte quante riletture alchemiche, psicanalitiche e socioantropologiche che si sovrappongono, tra l’inutilità di sofismi e leggi di esemplificazione, nell’uguaglianza tra merda e oro, una corrispondenza nettissima e letale per la Società, anche odierna, del nesso oscuro tra Eros e quotidianità. Nel 1961 Piero Manzoni sigillò le proprie feci in 90 barattoli di conserva. Con lo stesso risultato di incomprensione a tutt’oggi. Devo aggiungere altro?
E, ancora il riconoscimento della sessualità indistinta, fetale e vitale del bambino che è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascuno di noi è votato. Confusa spesso con “pedofilia”, ma il gioco diventa facile a questo punto. La tesi sostiene che il bambino è l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo puro desiderio non viene incasellato dalla Norma eterosessuale, che, al contrario, inibisce le potenzialità moltiplicabili all’infinito dell’Eros. Discorso, sì, eversivo e scomodo. Ma non me ne stupisco affatto, dato che di questo, spesso, blatero ancora inascoltato, o quasi.
Oggi più che mai, in questa medievale e oscurantista società attanagliata dal tabù che potrebbe andare ad investire, senza appello di sorta e senza possibilità di fuga, il binomio sessualità-infanzia, raggiunge davvero la presenza di una ossessione patologica che andrebbe a trasformare il timore della pedofilia in una vera e propria caccia a quelle streghe di frocie da bruciare.
L’avvertimento di Mieli è quello di tenere bene a mente la inevitabile, originaria e prorompente sessualità infantile, per non imbrigliarla nelle coercizioni fatali della Norma, che genera orribilmente repressione, omofobia, violenza, discriminazione, femminicidio. La mancanza di Mieli ci ha lasciati spalancati interrogativi di ordine etico sul ruolo castrante del sistema educativo rappresentato dalla famiglia, in primis, e sulle potenzialità ancora ignote di un Eros che, se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera. Ma inequivocabilmente incontrollabile e catalogabile.
Quello della coprofagia, in Mieli, è da intendersi come gioco erotico e come pratica di piacere, come gesto iniziatico, iniziale, infantile e alchemico, come colpo di teatro e come proposta rivoluzionaria. Ma è stato usato, questo semplice concetto, in ben altro modo dai suoi detrattori, venne utilizzato contro di lui e venne “catalogato” come l’hobby sessuale di mangiare i propri escrementi. Famosa la sua esibizione pubblica durante la quale si produsse in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS) ironizzò così: “A Mario è rimasto altro che mangiar la merda, per far parlare di sé”, ma questo era il classico gioco da Signora di Dario, che ben conoscevo e che di per sé era già “uomo di scandalo”, ironia, appunto, non erano certo queste le parole che potevano disturbare ciò che Mieli stava esemplificando. Il problema veniva dalla nostra cultura cattointegralista che non accettava il fatto che ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare.
Elogio della merda come chiave dorata che apre le porte dell’armonia, come estatico vessillo della liberazione, come fonte di purezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione vertiginosa, per una schizofrenia divergente dalla Norma. Un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, una comunione che vuole essere testimonianza e annuncio dell’avvento di un’armonia che vorremmo comprensibile e che, attraverso la liberazione dell’Eros, dovrebbe davvero costituire una nuova Era. Ma che ancora non è.
La parabola politica, critica ed esistenziale, è ritmata da momenti identificabili: i primi passi della sua militanza a Londra, nel movimento di liberazione omosessuale inglese, nel 1971 Mieli contribuisce alla nascita del F.U.O.R.I. [Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano], il primo significativo tentativo di dare vita ad un soggetto politico che raccogliesse i gay e si battesse per i loro diritti. Poi l’uscita dal F.U.O.R.I. (scusate il gioco di parole, ma un po’ di leggerezza, ogni tanto ci vuole), con l’avvicinamento al Partito Radicale nel 1974, la stagione dei collettivi omosessuali, sperimentazioni di una creativa mescolanza di elaborazione politica e vita en travesti, serio e faceto, autocoscienza e intervento sociale.
Una vera e propria critica del pensiero dominante. Tanto il pensiero etero (leggi la famiglia tradizionale), quanto quello omosessuale sono esattamente prodotto di una invasiva influenza della società sulla formazione della personalità e del desiderio. Avere, secondo Mieli, un trip nei confronti di un singolo pensiero sessuale è un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale. Una posizione, questa, che scandalizza ancora, anche in ambito gay, e che ha un risvolto di stringente attualità.
Il pensiero di Mieli conserva ancora fortemente la sua carica eversiva e ci conduce saldamente a interrogarci su quale debba essere la vera liberazione. Forse uno spazio di primaria importanza per una sessualità libera, fondamento di una società con la giusta educazione, ospitale e senza tabù?
Ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui. È, questo riconoscimento, un passaggio essenziale, da orientare, oggi, esclusivamente, in senso politico, per un lavoro sulla propria identità. La transessualità di Mario Mieli, il suo omaggio alla femminilità (il nostro debito continuo, assoluto e il rapportarsi con l’elaborazione femminista è costante, difficilmente il contrario, ma molte donne di oggi, ancora, stentano a capire questo raffrontarsi tra universo maschile e femminile, e ancora si sentono prese di mira dalle nostre battute frocie, ne ho avuta riprova non molto tempo fa, con una puntualizzazione su un mio innocente twitt senza, forse, che quella persona abbia mai letto cosa diavolo scrivo davvero, mi feriscono ancora queste sciocchezze, vuol dire che, ancora, il pensiero gaio risulta incomprensibile) e la sua sessualizzazione della politica sono ancora lontane dalla consapevolezza del potere, sono fuori gioco, fuori tempo, fuori scala, fuori dal coro della Norma che tutt’ora è padrona delle nostre vite.
Mario Mieli ammutolisce omofobi militanti di sinistra.
Mario Mieli, a Londra, fatto di Lsd, si spoglia davanti a un poliziotto gridandogli “Fuck me”.
Mario Mieli, vestito da monaca, viene arrestato nel corso di una manifestazione gay a Piccadilly Circus.
Mario Mieli si esibisce in performance coprofaghe.
Mario Mieli interviene sul nostro quotidiano, anche di noi gay, con gesti clamorosi che sono epidemia di conflitti irrisolvibili.
Mario Mieli offre efficaci spunti di ragionamento nell’ambito della contemporanea riflessione sulla omogenitorialità e in generale sulle famiglie alternative, sulla molteplicità dei desideri del bambino. Ma allora una famiglia non eterosessuale, ancorché monosessuale, potrebbe educare un figlio senza castrarlo, ci chiediamo, inculcando in lui i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario? Si può contribuire a rompere il circolo vizioso della normalizzazione senza passare per pedofili?
Il 1977 è l’anno della pubblicazione, per Einaudi, del saggio Elementi di critica omosessuale, un enorme apporto alla riflessione sull’omosessualità, un accostamento complesso tra psicologia, antropologia, letteratura, storia, marxismo. Una pietra ben salda, in anni recenti ripubblicato da Feltrinelli.
Un essere androgino, abbigliamento femminile, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Il brillìo di una ricerca contro ogni ordine precostituito, l’Eros polimorfo e perverso. Ancora oggi, di fronte a ogni tentazione di conformazione omosex, una presenza assolutamente “scandalosa”. Un troll aristocratico che, eccesso di collane di perle e gioielli di famiglia, si staglia sullo sfondo dello strapotere della Chiesa. Nitroglicerina frocia. Può un uomo vestito da donna creare ancora oggi scompiglio? È una domanda inevitabile per chiunque provi a riflettere…
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