Parimenti all’analisi del ruolo rivestito dalla donna nell’ambito di determinate obbligazioni, frutto di precise e codificate determinazioni culturali, inerenti specifici contesti attuali, realtà esaminate relativamente alla messa in scena dell’opera di Silvia Resta, (oggetto di trattazione del precedente articolo), è ancora una volta la figura femminile il fulcro del mio interesse attraverso una trattazione analitica che intendo espletare di una delle più importanti opere Shakesperiane, ossia la “Bisbetica domata” in scena al Teatro Argentina a partire dall’ 11 Febbraio scorso.
L’opera rappresenta un riadattamento della realizzazione originale di Shakespeare attraverso una sua riambientazione nell’Italia degli anni 20 eseguita magistralmente da Andrej Konchalovskij. La vicenda è ambientata a Padova attorno alla casa del nobile Battista Minoia, che ha due figlie: la maggiore, Caterina, la “bisbetica” appunto, che nessuno chiede in moglie, e la minore e dolce Bianca, corteggiata da Gremio e da Ortensio. Battista ha deciso che Bianca non potrà sposarsi finchè non avrà trovato marito la sorella maggiore. I pretendenti di Bianca cercano allora di trovare un marito per Caterina e lo trovano nel veronese Petruccio, che, attratto dalla dote della fanciulla, non si lascia per nulla spaventare dal tremendo carattere di lei. Avviene anzi un comico corteggiamento in cui Petruccio insiste nel trovare grazie e dolcezze nelle cattive risposte e nei maltrattamenti riservatigli da Caterina. Frattanto un nuovo corteggiatore si affianca alla lista di Bianca: Lucenzio, studente a Padova e figlio del ricco mercante pisano Vincenzo. Ortensio e Lucenzio, travestiti da maestri, si introducono nella casa di Battista, con la scusa di istruire Bianca e possono così corteggiarla da vicino; Tranio, servitore di Lucenzio, sostiene astutamente la parte del padrone. Petruccio riesce a portare all’altare Caterina e, sia nella cerimonia nuziale, sia in casa di Battista, sottopone la moglie a continue umiliazioni. La conduce poi nella propria casa in campagna e quì continua ad infliggere alla moglie smacchi e umiliazioni, privandola del cibo e del sonno, con la scusa che il pranzo e il letto che vengono dai servitori non siano degni di lei. Di nuovo, col pretesto che il sarto e il cappellaio le porgono merce scadente, le impedisce di comperarsi abiti eleganti; durante il viaggio di ritorno a Padova, Petruccio costringe Caterina alle più assurde affermazioni(quali che un vecchio incontrato per via è una graziosa fanciulla e così via), tanto che ella ritorna a casa del padre completamente domata o addomesticata. Frattanto Lucenzio conquista il cuore di Bianca, mentre Tranio, il finto Lucenzio, convince il padre che egli porterà la più alta controdote ed ottiene così per il suo padrone la mano della fanciulla; per rendere la sua finzione più convincente, traveste un pedante da Vincenzo. Costui poi arriva da Pisa, provocando una serie di grotteschi equivoci che naturalmente si risolveranno felicemente. Ortensio sposerà una vedova.
Al banchetto che suggella il lieto fine di tutti gli amori, gli sposi scommettono su quale delle loro mogli sia la più docile e Petruccio vince la sua scommessa per merito di Caterina, che tiene un discorso finale sull’obbedienza ai mariti. E’ interessante soffermarsi sulla figura di Caterina, la “bisbetica” e sulla sua apparente metamorfosi finale che pare spiazzare tutti.
La figura di Caterina si presenta subito come una donna vivace, allegra, ma soprattutto spontanea, spontaneità inammissibile (in particolar modo da parte femminile) in un contesto sociale perfettamente codificato ed “obbediente” ad una precisa etichetta del vivere sociale e del buon costume dove tutto, ogni singolo gesto, appare studiato preventivamente, ogni singola parola, ogni omaggio e cortesia. La bisbetica si presenta fin da subito intollerante verso questo tipo di contesto, non lo sente suo, non lo sente affine e quindi lo rifiuta violentemente reagendo in maniera aggressiva, perfino schernendo quelle codificazioni gestuali, quegli atteggiamenti obbedienti ad un vero e proprio manuale comportamentale, mettendolo addirittura in ridicolo agli occhi dello spettatore, tutto ciò perché la bisbetica sà che si tratta fondamentalmente di precetti fintamente moralistici e quindi ipocriti, messi in scena socialmente per mascherare una realtà molto lontana dall’esser pura e “casta” rispetto a quel che appare, piena di soprusi e malefatte, di convenienze e falsità.
Caterina è una donna vera che non ama nascondersi dietro schemi candidi per paura di mostrare la sua naturale indole. Lei sente il bisogno di gridarla al mondo intero e tormenta, aggredisce, tutti quelli che invece si nascondono dietro parvenze caratteriali prese in “affitto”, al fine di non smascherarsi, di non mostrare il proprio vero volto, perché così è più comodo raggiungere i propri obiettivi.
L’inganno ed il sotterfugio sono la parola d’ordine dei personaggi che le ruotano attorno, di Bianca la sorella corteggiata da tutti, “non sopporto il tuo silenzio” grida la bisbetica tormentandola con continui dispetti, già perché a lei, quel silenzio la uccide, la ingabbiata soffocandola in un’ universo entro il quale la finzione e l’ipocrisia di convenienza la fanno da padrone. Bianca si nasconde sotto le mentite spoglie della timidezza e della castità per celare in realtà un animo libertino ed avido di seduzione, ecco perché riesce a camaleontizzarsi perfettamente all’interno di un contesto che la rispecchia rappresentandola pienamente, anch’esso falso come lei, anch’esso ben attento a celare la sua vera natura sotto le parvenze del buon costume, così come Bianca tutti i personaggi rappresentano un’incarnazione, uno specchio del contesto falso entro il quale vivono a proprio agio.
Ed è lo stesso silenzio falsamente suadente ed “innamorato” di Petruccio, che finge di amare Caterina attirato dapprima dalla sua dote al fine di sposarla per poterla così “addomesticare” e vantarsi agli occhi di tutti. La falsità di tutti personaggi camaleontizzati perfettamente in un contesto creato a misura loro alla fine viene a galla una volta che ognuno di loro ha raggiunto i propri obbiettivi. Bianca fintasi docile e casta solo per farsi sposare da Lucenzio getta la maschera, è lei la vera ribelle impunita, è lei ora la bisbetica indiavolata avida di seduzione, Petruccio indossati i panni del fedele e docile innamorato, raggiunto l’obiettivo di sposare Caterina ed averla “addomesticata” si rivela un’ uomo avido di egoismo ed egocentrismo. Rimane lei, Caterina l’unica coerente, l’eroina-rivoluzionaria che combatte per l’emancipazione femminile per l’acquisizione di quel diritto di poter vivere mostrando la propria indole naturale, ed è questo che colpisce, questo che emoziona.
Alla fine le maschere di ipocrisia e falso perbenismo cadono a tutti i personaggi, è lei Caterina però che sembra indossarne una, verso l’epilogo, spiazzando e forse deludendo un po’ il pubblico che vede appannata quell’eroina combattente fino alla fine con grande dignità. Ma è solo questione di qualche secondo, Caterina pare indossare la maschera della moglie docile e finalmente addomestica, ma si tratta di un trucco, recita quella parte solo per essere lasciata in pace, per darla a bere a tutti, questo Petruccio lo sa, ma nella sua immensa ipocrisia si “accontenta”, se non di esser riuscito davvero ad addomesticare la moglie, almeno di far credere agli altri che così è stato, raccogliendo meschinamente le briciole di una soddisfazione sociale apparente e di un riconoscimento che seppur consapevolmente falso sazia in parte la sua sete di vanità.
Lei, Caterina, alla fine è la vera trionfatrice, colei che imbroglia tutti per preservare se stessa.
Nel suo monologo finale comunque traspare una sofferenza interna che si mostra in maniera evidente non solo nelle parole ma in una gestualità risoluta, in uno sguardo duro all’apparenza ma che non riesce a mascherare quegli occhi tristi e soli allo stesso tempo, che gridano una sete di libertà che colpisce emozionando lo spettatore… sono gli occhi di milioni di donne che lottano ogni giorno per la loro libertà, quegli occhi puoi vederli in una madre del Congo che allatta il figlio in mezzo alla strada, puoi vederli dietro un burqa che soffoca qualsiasi spirito vitale, puoi vederli in Cile, in Bosnia, in Africa, in Messico… sono occhi di milioni di donne, di oggi e di ieri, sono occhi di donne combattenti o donne che hanno gettato le armi, sono gli occhi di ognuno di noi, ed ecco la grandezza di Shakespeare ecco la sua universalità declinabile a qualsiasi epoca a qualsiasi contesto sociale.
Così come i condizionamenti e le violenze psicologiche che soggiogano l’indole naturale della bisbetica inducendola ad una sofferenza interna costante al fine di rispettare quella predominanza maschile sulla consorte “imposta” dall’etichetta o per rispondere ai classici canoni sociali dell’epoca tesi a mantenere quell’equilibrio, quella “normalità” familiare agli occhi degli altri anche al costo di violentare la psiche altrui cercando di mutarla con la forza.
Si pensi ai possibili collegamenti con i legami attuali, quante donne oggi subiscono questo tipo di violenza? Quante donne serene agli occhi sociali sono vittime di violenze psicologiche entro le mura domestiche? L’opera fornisce degli spunti di riflessione e quindi di sensibilizzazione sempre vivi e presenti. Il tutto trattato in chiave comica e grottesca, ed è questo a rendere questa realizzazione magistrale ed unica. Il riso, il divertimento suscitato dal grottesco dell’opera si mescola alla sofferenza, alle pene vissute dalla bisbetica, a quel suo non arrendersi, al quel suo combattere fino alle fine, a quella sua profonda solitudine entro la quale si innalzano le sue grida d’aiuto rimaste inascoltate, tutto questo emozionante dolore si mescola alla fisionomia sostanzialmente comica e grottesca dell’opera in un turbinio di emozioni e sentimenti che colpisce il pubblico, esaltandolo, trasportandolo in un coinvolgimento totale, rapito, all’interno della messa in scena, è questa la grandezza di Shakespeare ed è questa la fedele e magistrale rielaborazione storica compiuta da Konchalovskij che pur traslando l’opera originale in un contesto sociale diverso da quello dell’autore riesce a rimanere fedele al testo ed a ripercorrerlo in maniera assolutamente efficace conservando quella spontaneità e freschezza che avvolge l’intera opera mescolate a quelle vibrazioni sottili che toccano stati profondi dell’essere, inducendolo alla riflessione, quei paradossi e quelle tragedie dell’animo umano che da sempre affliggono e divertono e che si ripetono come un grande ciclo in tutte le epoche, in maniera universale.
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