71ª Mostra del Cinema di Venezia, Pasolini: manca la scintilla

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Pasolini di Abel Ferraradi Emilio Campanella

PASOLINI di Abel Ferrara, in concorso per VENEZIA 71 è, diciamocelo subito, una bella gatta da pelare un film ispirato alla figura di Pier Paolo Pasolini. Coraggioso Abel Ferrara ad accettare la sfida, direi, con se stesso: ha fatto un lavoro che ricostruisce le ultime ore, prima della tragedia di Ostia; ha molto studiato i testi scelti tentandone anche, con esiti molto alterni, delle ipotesi sperimentali di messa in scena. In alcuni la presenza di Ninetto Davoli, simpaticissimo (come sempre) e lunare risulta determinante, lui elegantissimo con il suo frac svolazzante, omaggio e ricordo di Totò, mentre si sdoppia con il suo io giovane che ha la faccia sorniona di Riccardo Scamarcio.

Gli attori sono la componente migliore del film, da Willem Dafoe nel ruolo del titolo, attento, misurato , credibile e non troppo somigliante, per fortuna; la magnifica trepida madre di Adriana Asti,  Giada Colagrande, la cugina, mentre Maria de Medeiros è un’azzeccata Laura Betti, per citare solo i principali, cui si aggiunge Valerio Mastrandrea ( Nico Naldini). Quello che manca è la scintilla; è tutto abbastanza giusto. Quasi tutto, e vedremo perché, ma anche piuttosto didascalico; dalle interviste, come quella iniziale intorno a Salò-Sade alla “passeggiata” in macchina a caccia di ragazzi, in una Suburra appannata, non solo come visione fotografica. Sembra cinema transgender, se mi passate il termine troppo inflazionato, un film americano travestito da italiano: l’abito firmato da uno stilista del MADE IN ITALY, come dicono e scrivono le persone che sanno(!!!), ma con le scarpe da jogging, insomma per dare un’idea!

Comunque ci sono prestiti dal passato, ma come poco digeriti, e pezzi poco convinti e convincenti… Se Bach e la Missa Luba nella colonna sonora sono abbastanza corretti, trovo fuori luogo la Rosina Rossiniana dei titoli di coda, perché se Maria Callas è un giusto riferimento puntualmente evocato, anche se in extremis, si sarebbe dovuto scegliere Medea di Cherubini, od almeno Norma di Bellini, che avrebbe potuto creare un legame di riferimento con il film Medea, (didascalismo per didascalismo).

In conclusione, pollice verso sulla fotografia da cartolina e soprattutto sulla scena dell’uccisione raccontata in oggettiva e scegliendo la tesi, quando il regista stesso aveva affermato di non aver preso partito, della gang di balordi che punisce il frocio schifoso… No comment!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(5 settembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©emilio campanella 2014
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