di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Around lo spettacolo in scena da ierisera al Brancaccio di Roma fino al 22 aprile (dal 24 al 26 sarà al Bellini di Napoli) della Crew italiana di street dance degli Mnai’s, è uno spettacolo d’eccellenza, per la qualità dei e delle interpreti, delle coreografie e della produzione, curatissima e italianissima.
Sette ballerini e tre ballerine di diversa estrazione, dalla moderna alla classica alla street dance, sono confluiti in questo progetto voluto da Mirella Rosso che firma le coreografie (quelle hip hop sono di Cristiano Buzzi) e prodotto da Roberto Bosatra per Zen Europe in collaborazione con Immagini E.
Filo conduttore dei quadri che si alternano sul palco è una valigia smarrita che viaggia idealmente per tutto il pianeta per incontrare situazioni e culture diverse.
Ogni ambiente è restituito attraverso delle videoproiezioni su un velatino di proscenio (opportunamente sollevato quando serve) e su un telo più spesso in fondo alla scena.
Scene disegnate con uno stile grafico che si fa cifra stilistica dell’allestimento, secondo una tradizione consolidata ma di tutto rispetto (anche per la precisione dell’esecuzione) che, grazie anche a mirati effetti prospettici e al contributo delle luci di scena, restituiscono una tridimensionalità alla proiezione nella quale danzatori e danzatrici interagiscono, si tratti dell’aeroporto del primo quadro o l’interno di una chiesa del secondo o la Broadway del quadro conclusivo.
Ogni quadro è occasione per affrontare un approccio alla danza con una firma riconoscibile e originale che contamina hip hop con elementi di danza moderna, qualche elemento di classica, brake dance, e un’attitudine recitativa degli e delle interpreti che ricorda alcuni momenti del teatro danza.
Gli e le interpreti, dalle personalità e caratteristiche coreutiche diverse, sanno interagire con delle coreografie che non mettono mai tra parentesi le loro differenze e specificità che vengono valorizzate da una partitura coreutica di raffinata complessità con una esecuzione di precisione e qualità che riesce però a trovare una unità stilistica e sincretica.
La macchina scenica viene spinta al massimo delle sue possibilità grazie anche all’impiego delle luci (splendide quando restituiscono le luci istoriate dell’interno della chiesa o quelle che filtrano dal complesso intrico di rami in un quadro ambientato all’interno di una foresta popolata da ragni giganti) e all’uso oculato e mai fine a se stesso dei costumi (notevole, nel quadro all’interno della cattedrale, una presenza inquietante altra sui due metri e mezzo che presenta al posto della testa una sorta di tubo conico dal quale proviene un fascio di luce che illumina il pubblico che viene ripreso da una videocamera che riproietta le immagini sullo schermo di fondo).
Ogni quadro è poco più di un pretesto per sperimentare le sinergie tra diverse forme di danza tutte sostenute dalla alta performatività coreutica e fisica dei suoi e delle sue interpreti.
Non basta però aver fatto del ballerino nero il protagonista dello spettacolo (è lui a rappresentare coreuticamente la valigia, la presenza costante in tutti i quadri) per presentare Around, nelle note di regia, come manifesto della multirazzialità (parola a dire il vero infelice) o dell’integrazione, perché danzatori e danzatrici sono di diverse nazionalità (Italia, Cina, Nigeria). Nell’immaginario collettivo evocato lo spettacolo tradisce piuttosto una visione piuttosto eteronormata dove la ragazza flirta con il ragazzo imbranato secondo i più triti cliché del caso (anche se su quei cliché è costruito un vero e proprio stile di danza il girley style).
Dispiace vedere in uno spettacolo di integrazione un approccio al rapporto tra i sessi così tradizionale ed esclusivamente etero l’unico accenno (timido e criptico) a un rapporto affettivo tra due ragazzi passa attraverso la lente dell’ironia e dell’ingenuità adolescenziale à la tempo delle mele.
Lo diciamo senza nulla togliere alla bravura del corpo di ballo o alla godibilità dello spettacolo, ma per commentare l’ingenuità delle note di regia un po’ troppo entusiastiche e autoindulgenti.
(21 aprile 2015)
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