di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Bang Gang (Francia, 2015) di Heva Husson è presentato nel catalogo del festival come film scandalo probabilmente perché racconta i trascorsi orgiastici di un gruppo di compagni e compagne di scuola di un liceo della provincia francese.
Un film banalissimo nel suo immaginario erotico che mette in scena un sesso ginnico poco interessato a spiegare il perché dei comportamenti anaffettivi dei personaggi e spacciando il sesso performativo per libera sperimentazione del proprio corpo (così la regista in sala dopo la proiezione).
Le pratiche sessuali performate dai ragazzi e dalle ragazze sono quelle in-formate (nel senso proprio del dare forma) dalla pornografia (con tanto di dettagli da escort: Come? vuoi venirmi in faccia? dice una ragazza a un ragazzo durante una delle orge, ma di solito si paga per questo) senza mostrare le palpitazioni delle prime volte, gli incidenti di percorso, le defaillance, le paure sulla bellezza (o bruttezza) del proprio corpo, come se il sesso mostrato nel film, penetrativo, orgasmatico ed esclusivamente eterosessuale (tranne qualche timido ripetuto bacio tra ragazze a uso e consumo del pubblico maschile ed etero) non sia il risultato di una educazione se(n)ssuale ma l’unico sesso possibile tanto da non doverne nemmeno spiegare il come e il perché.
Lo sguardo della regista su questi ragazzi e ragazze è talmente cieco che a distrarsi un attimo potremmo credere di vedere un documentario su di un set di un film pornografico dove non si può vedere l’atto e dove si capiscono però benissimo ruoli (coi maschi fallocraticamente attivi) e posizioni (nelle quali le donne subiscono, anche rapporti anali).
Un film ambiguo perché spaccia per sessualità dei e delle protagoniste quella che è l’idea della regista (che ha scritto anche la sceneggiatura) che del sesso mostra un immaginario maschilista e colonizzato dal porno. Un film inautentico tranne la scena iniziale (quando uno dei due ragazzi si denuda per offrirsi allo sguardo di due ragazze che si lamentano che i ragazzi vedono sempre i seni delle ragazze, mentre le ragazze dei ragazzi non vedono nulla), girata con spontaneità e dove la mdp vede quel che vedono le ragazze.
Il resto sono solo scene di sesso mimate che non ci spiegano nessun percorso di esplorazione del corpo ma servono solo ad esaltare una adolescenziale, superficiale e fintissima emancipazione sessuale (che è tutt’altra cosa) condita da un uso disinvolto di cocaina e marijuana…
Bang Gang è incapace di cogliere e restituire sullo schermo alcuna emozione (e si badi bene stiamo parlando di emozioni durante il sesso non di sentimenti) che non sia la possanza penetrativa maschile e la remissiva passività femminile.
Quel che riporta alla normalità questa esplorazione orgiastica è la doccia fredda di qualche gravidanza indesiderata della quale ci si libera con una pillola (sic!) e dalle infezioni sessualmente trasmesse (sifilide e gonorrea) che colpisce ragazzi e ragazze. Tra l’altro IST che, se le orge sono sempre rimaste nel’ambito di coetanei e coetanee come il film ci mostra, non si capisce sa dove provengano, come se la sifilide venisse spontaneamente per la promiscuità e non sempre e comunque da una persona che ne è già entrata in contatto…
Un film squisitamente borghese come borghese è la regista, alla sua opera prima, presente in sala dopo la proiezione, con l’atteggiamento insopportabile e snob di chi si considera già arrivata (a cominciare dalle interminabili risposte che dà alle domande del pubblico senza nemmeno attendere che il traduttore possa fare il suo lavoro).
Un incidente di percorso del Festival, ci perdonerà Vanessa Tonnini (direttrice artistica di Rendez-Vous) che lo ha presentato come il suo film preferito di tutta la rassegna.
Ecco, magari anche no, grazie.
(9 aprile 2016)
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