di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Jeg er din (t.l. io sono tua) (Norvegia, 2013) di Iram Haq ci racconta del peso culturale e familiare che Mina, una giovane pakistana emigrata in Norvegia, subisce dalla sua famiglia e dal suo paese di origine.
La costrizione a una norma sociale familistica e sessista che la vuole donna sottomessa al maschio e madre le fa prima cercare una via di fuga nel matrimonio e nella maternità che però ben presto le stanno strette.
Divorziata vive con Felix il figlio seienne mentre cerca di intraprendere una carriera d’attrice andando senza troppo successo di provino in provino.
L’emancipazione per Mina passa per la scoperta del suo corpo come soggetto desiderante e vive storie d’amore con uomini che però non sanno mai stare nella relazione: c’è chi è già fidanzato e la vede nei ritagli di tempo per meri motivi sessuali (un sesso solispistico e masturbatorio nel quale Mina è poco più che una fonte di eccitazione visiva) oppure sono talmente egotisti da non volerne sapere di suo figlio Felix. Così accade con il regista svedese Jasper che prima la invita a vivere con lui in Svezia e poi, dopo pochi giorni di convivenza, si lamenta della presenza di Felix. Quando la famiglia la ripudia perché la comunità pakistana locale ha ostracizzato padre e madre per le sue condotte sessuali da prostituta (è stata vista baciare uno sconosciuto per strada) Mina si trova sempre più sola e durante uno dei suoi incontri con giovani uomini si lascia andare per la prima volta a un pianto liberatorio con un ragazzo rimorchiato in un bar che la accogl
ie con un abbraccio di rispetto senza fare sesso con lei.
Il film si conclude senza sciogliere il nodo esistenziale di questa giovane ragazza straniera che si perde a metà del guado tra cultura di provenienza e quella d’arrivo trovandosi da sola in un paese e una cultura dove l’autodeterminazione è riconosciuta come diritto inviolabile ma la cui ricerca e applicazione è a carico esclusivamente della diretta interessata.
Una società dove il peso delle aspettative proprie e altrui non è una questione da affrontare insieme ma relegata alle possibilità individuale di ognuno e ognuna.
Nessuna delicatezza o sensibilità sociale accolgono Mina nella sua disperata ricerca di amore ogni uomo che Mina incontra vive la stessa solitudine e anaffettività strazianti.
Solo l’ex marito di Mina che si è rifatto una famiglia e al quale Mina decide di affidare Felix non sentendosi all’altezza del ruolo di madre, sembra vivere una vita in equilibrio tra affetti e solidarietà.
Jeg er din, delicato e straziante, ci mostra la vita di Mina senza giudizi o pregiudizi.
Un’altra perla di un serrato (4 proiezioni 4) secondo giorno di programmazione di questo importante irrinunciabile imprescindibile Nordic Film Fest.
(26 aprile 2016)
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