dal nostro inviato Emilio Campanella
Voyage of time: Life’s journey, in concorso per Venezia 73. Vulcani, miseria, feste, sagre, riti sanguinari, pesci inventati, riprese modificate, invenzioni, un testo letto da Cate Blanchet, quasi oracolare, un po’ trombone, potrebbero affermare alcune invocazioni alla grande madre crudele mentre gli animali si sbranano, creature dell’acqua, mostruose per come sono filmate, appaiono, scompaiono, si muovono con scatti improvvisi… Pianeti in movimento, microorganiami che si agitano, cuori che battono… Mari in tempesta, cascate, colate e fiumi di lava. Novanta minuti di suggestioni non narrative, ma fortemente evocative. Compaiono i dinosauri, in una sorta di cameo discreto. Poi appaiono gli umani, elegantemente primitivi, un po’ da libro di scuola, ma vieppiù, dimostrativamente violenti.
Ma non è la stessa violenza un po’ sgranata e vovraesposta dei filmati di repertorio antropologico, citati ed inframmezzati con abile successione di montaggio, questi sono piuttosto patinati, in linea con l’eleganza stilistica dell’insieme, in cui National Geographic è della partita. Grandi appoausi alla fine della prima proiezione per la critica… Bisogna amare profondamente il guru Terence Malick per apprezzarne il lavoro e lasciarsi andare al fiume d’immagini abilmente montate e tendenziosamente commentate, ma si può anche detestarlo profondamente per come fa cinema, per ciò che dice e vorrebbe un po’ imporre, certo non lascia mai indifferenti.
(7 settembre 2016)
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