di Emilio Campanella
Fino al 28 maggio, a Venezia, il Museo Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, al secondo piano nobile, ospita un’ampia retrospettiva dedicata a William Merritt Chase (1849-1916) Un pittore fra New York e Venezia. Ultima tappa dopo Washington e Boston, l’iniziativa è sostenuta da Terra, Foundation of American Art, che ha contribuito anche alla pubblicazione del sontuoso, faraonico catalogo edito in Italia da Magonza Editore, insieme con la Fondazione Musei Civici Veneziani. Firmano i saggi: Elsa Smithgall, Erica E. Hirshler, Katherine M. Bourguignon, Giovanna Cinex e John Davis; l’introduzione: D.Frederick Baker.
Cinquantacinque opere esposte, divise in otto sezioni, possono dare una discreta idea di un pittore tendenzialmente ecclettico e dalla mano felice, per così dire. Le sezioni accennate costituiscono, in sostanza, una divisione di genere, per orientare il visitatore nelle belle sale del palazzo che hanno il giusto respiro – soffitti alti, grandi, ampie pareti – per ospitare le tele anche di notevole metratura, o gruppi tematici ben accostati, come gli studi d’interno, le vedute lagunari, le città, i paesaggi. Certe opere possono essere definite un po’ di genere, ma è soprattutto la ritrattistica, direi, la vena più riuscita del pittore, dimostrata anche con autoritratti pregevoli che ci rimandano l’immagine di un simpatico, elegante signore, sicuramente buon docente e charmeur, insegnante per signore annoiate, pittrici dilettanti ed entusiaste.
Se la ricerca formale corrisponde a quella della sua epoca, senza grandi originalità peraltro, come un po’ al seguito dei più grandi innovatori legati allo studio della luce, fra otto cento e novecento, non mancano avventure nella natura morta dalla composizione d’ispirazione barocca, e sempre un occhio deferente nei confronti dei grandi artisti fiamminghi del seicento. Torno comunque a dire, che, se pur non originalissima, ma con notevole capacità d’inquadratura e di luce, è quella del ritratto, la strada percorsa con maggiore felicità. Non a caso si è scelto: The Young Orphan, 1884 c.a quello più intenso e convincente, dei molti esposti, a simbolo della mostra, manifesto e copertina del catalogo.
(27 febbraio 2017)
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