di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Chez-nous (t.l. a casa nostra) (Francia/Belgio, 2016) del belga Lucas Belvaux, racconta l’avventura politica della giovane infermiera Pauline Duhez che si candida per le elezioni municipali nel partito di destra, fittizio, Rassemblement National Populaire (RNP), guidato da Agnès Dorgelle, nella cittadina di Hènart, paese anch’esso fittizio, a Pas-de-Calais, uno dei dipartimenti più popolosi nell’estremo nord della Francia.
Belvaux si è ispirato per questo film al romanzo Le Bloc di Jérôme Leroy, che firma con lui la sceneggiatura (la prima volta nella filmografia del regista che ha sempre firmato da solo le sceneggiature dei suoi film).
Chez Nous parte con un registro molto realistico (la morte di una delle pazienti cui Pauline presta i suoi servizi di infermiera) registrando il malcontento che serpeggia nella popolazione abbandonata dalle istituzioni e lasciata in balia della retorica patriottica populista di destra, che legittima il razzismo come patriottismo.
Lo Chez nous del titolo si riferisce proprio alla mentalità di chi mal vede le persone di origine straniera, con frainteso piglio patriottico, scordano la storia francese e considerando straniere tutte le persone di cultura altra come la popolazione di origini algerine, che, pure, è di nazionalità francese.
Questa è la retorica che usa Agnès Dorgelle nei suoi comizi, rivendicando le origini cristiane dell’Europa contrapposte a quelle di religione islamica ritenute spurie e pericolose.
Una retorica che pretende che questa posizione non sia razzista ma patriottica e che l’accusa di razzismo sia ingiusta e basata sul pregiudizio.
Pauline, che non è particolarmente razzista come alcune sue amiche, ma nemmeno di sinistra, nonostante il padre comunista, si lascia sedurre dall’invito a diventare capolista nel RNP, per motivi personali.
A invitarla è infatti il dottor Berthier, che è stato molto vicino alla sua famiglia quando sua madre è morta di cancro.
Quasi un secondo padre per l’infermiera, madre di un bambino e una bambina.
Quando Pauline si candida nel RNP la sua frequentazione con Stanko, l’ex fidanzato del liceo, che va a vivere da lei, diventa un problema politico. Stanko è stato uno dei picchiatori quando il RNP era ancora apertamente un partito violento. Stanko e Berthier erano camerati, ma Stanko si era allontanato dal partito quando la dirigenza aveva deciso il cambiamento di facciata.
Pauline, che ignora i trascorsi di Stanko, viene tenuta all’oscuro di tutto. Sono Berhier e Stanko a decidere, in un incontro che ricorda più quello tra spie che tra concorrenti politici, le sorti della relazione con Pauline.
A complicare ulteriormente le cose si aggiungono le minacce che Pauline riceve che inducono l’RPN a dotarla di una scorta…
Questo intreccio tra vita personale e vita politica fa slittare il film verso una narrazione che perde il realismo dell’inizio e si avvia verso una visione dei fatti semplicistica dove il conflitto politico nasce sempre dall’indole caratteriale dei personaggi.
Stanko milita in un gruppo di estrema destra che si gingilla con dei raid contro le persone immigrate (con tanto di foto trofeo) per una sua indole violenta e non per motivi politici.
Nathalie, un’amica di Pauline, abbraccia le idee razziste più come strumento di emancipazione che per una visione del mondo che possa dirsi tale.
Questo scollamento dal registro naturalistico è evidente nella scena finale nella quale Pauline scopre nella maniera più improbabile le gesta di picchiatore di Stanko.
Allo stadio coi figli e il padre, ritratto di famiglia felice colta nel privato della sua vita (perché per il film la politica è quella dei partiti, evidentemente Belvaux si è dimenticato la considerazione sessantottina che il privato è politico) la figlia di Pauline fa vedere alla madre le foto appena scattate e subito prima di quelle compaiono, al di là di ogni plausibilità le foto, scattate molti mesi prima, di uno dei raid di Stanko ai danni di persone immigrate. (Possibile che Stanko non abbia fatto più foto fino a quelle nello stadio? Perché quelle foto non le ha cancellate o nascoste?)
Chez nous descrive i suoi personaggi e le situazioni con lo stesso populismo che pretende di denunciare, con punte di classismo insostenibile come l’odio che Pauline suscita in tutti i personaggi migranti che erano suoi amici fino a subito prima della sua candidatura, come a insinuare che le amicizie con estranei sono facili da perdere: l’unica a rimanerle amica nonostante tutto è una francese comunarda.
Così invece di analizzare le motivazioni politiche del RNP, il suo programma (quello che Pauline si accorge di non aver nemmeno letto solo dopo che ha annunciato in conferenza stampa la sua candidatura) il film si sofferma sulle strategie di comunicazione del RNP (più attente a un linguaggio che non tradisca il razzismo, o all’aspetto fisico della candidata che ai temi amministrativi del programma politico) con una semplificazione televisiva che infastidisce.
La denuncia nel film che il RNP tragga origini da una organizzazione di picchiatori fascisti finisce per spostare il confronto politico dall’attenzione per i valori (che non vengono davvero criticati) alla violenza fisica, unica bussola morale del film finendo coll’aderire alla stessa retorica populista dei partiti di destra, da quelli inventati nel film a quelli veri come il fronte Popolare di Marie Le Pen (cui il personaggio di Agnés Dorgelle rimanda con smaccata evidenza tanto che, all’uscita del trailer a dicembre 2016, in Francia il partito – ma non Marie Le pen – è insorto contro il film).
Ciò che è inaccettabile – sembra suggerire il film – non sono le idee razziste (misogine, omofobe) di per sé ma solo gli strumenti politici violenti con cui le si vogliono applicare, compiendo una semplificazione politica profondamente fascista.
E’ facile per il pubblico che vede il film dissentire dal RNP non per le sue idee razziste, altrimenti rispettabili, ma per la sua vera indole violenta.
E’ facile anche sentirsi superiore sia al RPN che a Pauline secondo un paternalismo che tradisce la misura del giudizio classista che Belvaux ha nei confronti della provincia francese, razzista per stupidità e ignoranza e non per cultura politica.
Un film pessimo e molto pericoloso nel suo qualunquismo reazionario.
Nelle sale italiane dal 27 Aprile.
(10 aprile 2017)
©gaiaitalia.com 2017 – diritti riservati, riproduzione vietata