di Fabio Galli
L’uomo è forte, pubblicato nel 1938, è uno di quei romanzi che non si limita a raccontare una storia: scava nell’anima del lettore, lo mette davanti a uno specchio oscuro e lo costringe a chiedersi quale sia il prezzo della libertà, dell’amore, dell’essere umano. Corrado Alvaro, con una lucidità straordinaria e un linguaggio che unisce rigore e lirismo, costruisce un’opera che non è solo una critica al totalitarismo, ma anche una meditazione sull’essenza stessa dell’uomo, sulla sua fragilità e sulla sua irriducibile forza.
La trama è apparentemente semplice: Stefano, un uomo che ha vissuto a lungo all’estero, torna in patria per ritrovare Barbara, la donna che ha amato e che rappresenta per lui un legame con un passato più autentico, meno soffocante. Ma il suo ritorno non è quello che aveva sperato. La patria che lo accoglie è irriconoscibile: non è più un luogo di radici e ricordi, ma un incubo totalitario, dove ogni cosa – dalle architetture monumentali ai comportamenti quotidiani – è piegata alla logica del potere.
Barbara, che Stefano immaginava come un rifugio, una complice nel suo desiderio di libertà, si rivela invece prigioniera di quel mondo. Non è solo la donna che ha amato, ma anche una vittima del regime, una figura che si muove con cautela, che vive in bilico tra il desiderio di autenticità e la paura di essere scoperta. Ogni loro incontro è carico di tensione: Stefano cerca di riaccendere un sentimento che il regime considera una minaccia, mentre Barbara si dibatte tra la speranza e la rassegnazione.
Il regime descritto da Alvaro non ha un volto preciso, né una collocazione storica o geografica definita. È un simbolo, una distillazione di tutte le forme di oppressione che il Novecento ha conosciuto. Non è tanto la brutalità esplicita a essere messa in scena, quanto il suo effetto sulla vita quotidiana, sui pensieri, sui sentimenti. L’atmosfera che permea il romanzo è claustrofobica, come se ogni personaggio fosse intrappolato in una rete invisibile di sospetti, ordini e sanzioni.
Stefano stesso attraversa un percorso di disillusione. All’inizio, rimane colpito dalla forza apparente del sistema: l’ordine che regna ovunque, la coerenza di un mondo che sembra non lasciare spazio al caos. Ma ben presto questa forza si rivela per quello che è: un meccanismo spietato che riduce gli uomini a ingranaggi, che cancella ogni traccia di individualità. Persino l’amore diventa un atto sospetto, un pericolo per l’ordine collettivo.
La storia d’amore tra Stefano e Barbara diventa così il cuore simbolico del romanzo. Non è solo un legame sentimentale, ma una forma di resistenza, un tentativo di riaffermare l’umano in un contesto che vuole annientarlo. Ogni sguardo, ogni parola scambiata tra i due diventa un atto di coraggio, un’affermazione di qualcosa che il regime non può controllare. Ma proprio per questo, il loro amore è costantemente minacciato, fragile come una fiamma che lotta contro il vento.
La scrittura di Alvaro è parte integrante dell’esperienza che il romanzo offre. Le sue frasi sono dense, cariche di significati impliciti, e ogni parola sembra scelta con la precisione di chi sa di muoversi su un terreno pericoloso. L’autore non descrive mai esplicitamente le atrocità del regime, ma le lascia emergere attraverso i silenzi, i gesti, le paure dei personaggi. Le città che fanno da sfondo alla vicenda sono spettrali, dominate da geometrie fredde e opprimenti, luoghi dove la vita sembra essersi ritirata, lasciando spazio solo al controllo.
Eppure, in mezzo a questa oscurità, ci sono momenti di straordinaria bellezza. Quando Stefano e Barbara riescono a ritagliarsi un attimo di intimità, quando la natura – unica forza che il regime non riesce a domare – appare in tutta la sua vitalità, il romanzo si accende di una luce che è tanto più intensa perché così rara. Alvaro sembra volerci dire che, anche nei contesti più disperati, l’umanità non può essere completamente soffocata.
Il titolo, L’uomo è forte, è un enigma che attraversa tutto il romanzo. Di quale forza si parla? È il regime a essere forte, con la sua capacità di controllare e annientare? O è l’uomo, con la sua resistenza silenziosa, con la sua capacità di amare e di ricordare, a incarnare la vera forza? Alvaro non offre una risposta definitiva. Lascia che sia il lettore a decidere, spingendolo a riflettere sulla propria idea di forza, sulla propria capacità di resistere.
All’epoca della sua pubblicazione, il romanzo fu accolto con freddezza. Era un’opera scomoda, in un’Italia dominata dalla propaganda fascista. Troppo implicita per essere apertamente condannata, troppo esplicita per essere ignorata, rimase ai margini, fino a quando non venne riscoperta come uno dei capolavori del Novecento italiano. Oggi, L’uomo è forte appare come un’opera profetica, un precursore delle distopie che avrebbero trovato pieno sviluppo con Orwell e Huxley. Ma ridurre L’uomo è forte a una semplice critica del totalitarismo sarebbe un errore. È un romanzo che parla di libertà, ma anche di amore, di paura, di speranza. È una riflessione sull’essere umano, sulla sua capacità di resistere anche quando tutto sembra perduto. È un’opera che, proprio per la sua complessità, richiede al lettore un impegno, ma che lo ripaga con una profondità e una bellezza rare. È un romanzo che non si dimentica, che continua a risuonare dentro di noi, come un monito e una promessa.
(19 novembre 2024)
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