di Fabio Galli
A partire dal 16 marzo fino al 20 luglio 2025, le sale di Palazzo Strozzi ospiteranno la mostra “Tracey Emin. Sex and Solitude”, la più vasta retrospettiva mai dedicata in Italia all’artista britannica. Con oltre sessanta opere, molte delle quali mai esposte prima nel nostro Paese, la mostra ripercorre l’intera carriera di Emin, dall’inizio degli anni ’90 fino alle sue creazioni più recenti, mettendo in evidenza il suo linguaggio radicalmente autobiografico e la sua capacità di trasformare il dolore, il desiderio e la solitudine in immagini potenti e senza compromessi.
Curata da Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, la mostra conferma l’attenzione dell’istituzione fiorentina per le voci più significative dell’arte contemporanea, dopo aver ospitato nomi come Marina Abramović, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Olafur Eliasson e Ai Weiwei. Tracey Emin, con la sua carica emotiva, il suo stile crudo e la sua narrazione profondamente personale, rappresenta un ulteriore tassello nel dialogo tra passato e presente che caratterizza la programmazione di Palazzo Strozzi.
L’opera di Emin, spesso paragonata per intensità e tensione espressiva a quella di artisti come Francis Bacon, Egon Schiele, Pontormo e persino Michelangelo, si distingue per l’uso di materiali e linguaggi differenti: dal disegno alla pittura, dal neon alla scultura, fino alla performance e al video. Ciò che accomuna tutti questi mezzi è la radicale esposizione di sé, una pratica artistica che si trasforma in confessione, esorcismo e, talvolta, provocazione.
CHI È TRACEY EMIN? L’ARTE COME ESTREMA CONFESSIONE
Nata il 3 luglio 1963 a Margate, una cittadina balneare nell’Inghilterra meridionale, Tracey Emin cresce in un ambiente segnato da difficoltà economiche e familiari. Il padre, di origine turco-cipriota, mantiene due famiglie contemporaneamente, mentre la madre fatica a sostenere i figli. L’infanzia e l’adolescenza dell’artista sono segnate da traumi profondi: a 13 anni subisce una violenza sessuale, esperienza che segnerà il suo rapporto con il sesso, il corpo e la percezione di sé.
Dopo un’adolescenza turbolenta, segnata dalla ricerca di un’identità e da periodi di forte crisi interiore, Emin decide di dedicarsi all’arte, studiando prima alla Maidstone Art College, poi al Royal College of Art di Londra. Qui si avvicina all’arte concettuale e sperimentale, sviluppando una poetica fortemente influenzata dall’autobiografia.
Il suo primo grande successo arriva negli anni ’90, quando entra a far parte dei Young British Artists (YBAs), il gruppo di artisti emerso sulla scena londinese grazie al supporto del collezionista Charles Saatchi. Rispetto ad altri membri del gruppo, come Damien Hirst, noto per i suoi animali immersi nella formaldeide, e Sarah Lucas, che lavora con la cultura pop e l’ironia, Emin si distingue per un linguaggio più intimo e viscerale, in cui il corpo, la sessualità e il dolore diventano soggetti centrali.
La consacrazione internazionale arriva nel 1999, quando l’artista espone al Turner Prize la sua opera più celebre, “My Bed”: un letto disfatto, circondato da mozziconi di sigarette, bottiglie di alcol vuote, mutandine sporche e tracce di disperazione. Il lavoro diventa immediatamente una delle immagini più iconiche dell’arte contemporanea, suscitando reazioni contrastanti: per alcuni è una geniale rappresentazione della fragilità umana, per altri solo un’esibizione narcisistica.
Negli anni seguenti, Emin continua a esplorare la propria storia attraverso media diversi: disegni, dipinti, sculture, neon, installazioni e video. L’amore, la solitudine, il trauma e il desiderio rimangono temi centrali della sua poetica.
Nel 2020, l’artista annuncia di avere un tumore alla vescica. Dopo un intervento radicale, che la lascia priva di parte del sistema urinario, Emin affronta la malattia con la stessa brutalità con cui ha sempre affrontato la vita e l’arte. La sua produzione recente riflette questa esperienza, caricandosi di una nuova urgenza espressiva, tra fragilità e resistenza.
UN PERCORSO ESPOSITIVO TRA INTIMITÀ E PROVOCAZIONE
Il titolo della mostra, “Sex and Solitude”, esprime perfettamente il cuore della ricerca di Emin: da un lato, il sesso, vissuto come esperienza carnale, come trauma e come forma di potere; dall’altro, la solitudine, non solo come condizione di abbandono, ma anche come spazio necessario alla riflessione e alla creazione.
La mostra si sviluppa in sei sezioni, ognuna delle quali esplora un aspetto specifico della sua produzione artistica:
- Infanzia e memoria – Disegni e video in cui Emin racconta la sua difficile infanzia, i rapporti familiari e il desiderio di fuga.
- Il corpo come esperienza – I celebri neon con frasi autobiografiche, come “You Should Have Loved Me” e “I Want My Time With You”, e i dipinti che raffigurano corpi femminili in pose di desiderio, dolore e solitudine.
- Il successo con “My Bed” – Installazioni e documentazione di uno dei lavori più discussi della storia dell’arte contemporanea.
- L’arte come esorcismo – “Exorcism of the Last Painting I Ever Made” (1996), una performance in cui Emin dipinge per tre settimane chiusa in una stanza, e sculture che esplorano il senso di perdita e trasformazione.
- Malattia e sopravvivenza – Dipinti e sculture recenti, in cui la malattia e la lotta per la vita si traducono in immagini potenti e struggenti.
- Parola e immagine – Testi scritti a mano, lettere e poesie visive che svelano il lato più lirico e introspettivo della sua arte.
PERCHÉ NON BISOGNA PERDERE QUESTA MOSTRA?
Visitare “Tracey Emin. Sex and Solitude” significa entrare nel mondo di un’artista che ha fatto della vulnerabilità un’arma, della confessione un linguaggio e della propria esistenza un’opera d’arte. Emin è un’artista che non fa sconti, che non cerca di piacere, ma che costringe lo spettatore a confrontarsi con le proprie emozioni più profonde.
Se si ama un’arte intensa, viscerale e senza compromessi, questa mostra è un’esperienza da non perdere.
I biglietti sono disponibili sul sito ufficiale di Palazzo Strozzi.
(2 febbraio 2025)
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