di Fabio Galli
Con la scomparsa di Francesco Gnerre, la cultura italiana perde una delle sue figure più lucide, generose e coraggiose. Scrittore, saggista, insegnante e critico letterario, Gnerre ha saputo incarnare per decenni un’idea alta ma sempre accessibile di impegno intellettuale. Lontano dalle mode e dalle finzioni accademiche, è stato una presenza discreta ma essenziale nei territori della letteratura, della memoria e dei diritti civili.
Nato a Benevento nel 1944, aveva attraversato da protagonista le stagioni culturali più vive del dopoguerra, portando sempre con sé una tensione etica rara: quella che spinge a non mentire, mai, soprattutto a se stessi. Dopo una formazione letteraria solida, aveva scelto di dedicarsi all’insegnamento, all’attività critica e alla militanza culturale. È stato tra i primissimi in Italia a studiare e a divulgare la letteratura gay in una prospettiva non solo tematica, ma strutturale, profonda. Il suo saggio “L’eroe negato. Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano” resta una pietra miliare, tanto per il rigore con cui è costruito quanto per la chiarezza con cui sa parlare a lettrici e lettori non specialisti.
Ma Gnerre è stato molto più di uno studioso. È stato un tessitore di legami, un divulgatore affettuoso, un uomo capace di creare comunità attorno ai libri. Ha scritto romanzi – tra cui “Una storia sbagliata” e “La casa del padre” – che restano esempi rari di come si possa parlare di omosessualità senza indulgere né alla retorica né all’autoassoluzione, ma con una scrittura limpida, capace di tenerezza, di vergogna, di desiderio. Sempre con quella sua voce bassa, eppure incandescente.
Nel mondo associativo e civile, ha avuto un ruolo cruciale nel tenere vivo il discorso sulla visibilità e sull’autodeterminazione. Negli anni in cui dire “omosessuale” era ancora un atto politico, Gnerre lo ha fatto con determinazione, senza mai smettere di nominare ciò che la società cercava di rimuovere. È stato una colonna della rivista “Babilonia”, un punto di riferimento per decine di lettori e lettrici che cercavano, nelle sue pagine, una mappa per orientarsi. E ha continuato a esserlo, con grazia e discrezione, fino all’ultimo.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ricorda il sorriso ironico, lo sguardo mite, l’intelligenza febbrile. E soprattutto, quella qualità rara: l’ascolto. Gnerre non parlava per farsi notare, parlava per capire, per condividere, per lasciare in chi lo ascoltava una traccia di sé, mai invadente, sempre profonda.
Oggi, nel salutarlo, ci resta la sua opera, che continuerà a interrogare e a nutrire chi vorrà leggerla. E ci resta una responsabilità: quella di non dimenticare che anche grazie a uomini come lui, l’Italia ha imparato – e può ancora imparare – a diventare un paese più giusto. Addio, Francesco. E grazie.
(17 luglio 2025)
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