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Darling, o del pessimismo di Ricci/Forte #Vistipervoi

Ricci Forte Darling 00di E.T.  twitter@iiiiiTiiiii

Eravamo al Teatro Eliseo l’11 ottobre scorso, per lo spettacolo di Ricci/Forte “Darling” , nuova produzione in parte ispirata (molto liberamente secondo noi, oseremmo quasi dire che la “libera” ispirazione è solo una scusa) all’Orestea di Eschilo.

Ci accoglie un palco spoglio con un container verde, luci verdi all’interno, alle cui spalle si snoda una scala a pioli, non verso il paradiso, ma verso il graticcio, che una geniale giornalista di radio3 (di cui parleremo dopo) scambierà come un oggetto di scena “messo lì”, da cui scende il primo attore (Giuseppe Sartori). Da lì il via all’azione. Entrano altri due perfomers (Gabriel Da Costa e Pierstein Leirom, per la prima volta con il gruppo) e quindi la magnifica Anna Gualdi, brava ed intensa. Come sempre. Dopo la loro entrata in scena un delizioso  siparietto di animazione in lingua francese.

L’estetica di Ricci/Forte è nota, non staremo a raccontarla, e lo spettacolo – magari anche solo per criticarlo, come è italico costume, andrebbe visto (ieri sera ci sono stati alcuni buuhh!!!, ma coloro che li hanno lanciati sono spariti, avremmo preferito sentire cosa avevano da dire nell’incontro aperto al pubblico nel dopo spettacolo) – noi continuiamo ad apprezzare il lavoro che Ricci/Forte fanno per la loro capacità di inserire una lucida – anche se personale e per questo discutibile, ma come potrebbe essere altrimenti? – critica ai feticci del nostro tempo: da Facebook, a Twitter, all’educazione che si sofferma sulle cazzate anziché sulle cose serie, sulla mancanza di cultura (che magari manca anche agli autori stessi, qualcuno mi suggeriva che forse Ricci/Forte questa volta hanno puntato troppo in alto, cosa fors’anche vera, ma almeno ci provano), alla completa e totale mancanza di consapevolezza nella gestione dei rapporti umani di qualsiasi tipo, alla pericolosissima distruzione del concetto di cultura come miglioramento di sé e come necessità. Personalmente, li considero elementi importanti qin qualsiasi lavoro culturale.

Non staremo a sottolineare le varie influenze, vere o presunte, alle quali Ricci/Forte sarebbero debitori e/o quanto essi stessi stiano influenzando il panorama teatrale italiano ed internazionale, c’è chi lo ha già fatto – pateticamente – nel dopo spettacolo. Non staremo certo ad accodarci.

C’è un profondo pessimismo in “Darling” cui è difficile non cedere, la consapevolezza che la società odierna ha perso la bussola, ma anche – malgrado “Darling” – la ricerca di una luce, una via. Non ci sono risposte nello spettacolo. Cosa che farà infuriare chi le cerca ovunque.Ricci Forte Darling 01

Ciò che ci preme raccontare, al di là del nostro giudizio personale sullo spettacolo, che è nostro e per noi ci terremo, è la sola mancanza che abbiamo notato nell’evoluzione del lavoro della coppia più bella del mondo: la mancanza dell’urgenza che ha sempre caratterizzato il lavoro di Ricci/Forte. Non soltanto per il testo a volte eccessivamente prolisso, ma per la scelta di trasferire questa loro “urgenza” agli attori o performers che si vogliano chiamare, che non hanno avuto la forza di trasmetterla al pubblico con la potenza necessaria.

Geniale l’apporto di Stefano Ricci ai vuoti di memoria di Anna Gualdi. Personalmente, lascerei quei due inserimenti anche per le repliche future, ma lo spettacolo non è mio. Per questo, pur scrivendone, cerco di rispettarlo il più possibile.

Ritengo il lavoro del duo tra i più interessanti e “liberi” del momento attuale. “Perché il livello del teatro in Italia è scadente!”, mi ha detto qualcuno. Magari è anche vero, ma almeno qualcuno si rompe le chiappe non per cercare l’applauso a tutti i costi, ma per fare ancora cultura. Impresa quasi impossibile in Italia. E so di cosa sto parlando.

 

 

Nel dopo spettacolo siparietto con il pubblico per i podcast di radio3 condotto da Laura Palmieri. Incontro insulsetto, più per l’incapacità della conduttrice di ascoltare le risposte di Ricci/Forte senza dover per forza aggiungere di nuovo la sua inutile opinione, che per le sue domande fatte di citazioni trite, ritrite, utili al di lei ego ed al pubblico cui pensava di rivolgersi. La raggiungiamo e la ringraziamo per le “incongruenze” che abbiamo ascoltato. Dopo un sorriso si irrigidisce.

Mentre cerchiamo di spiegarci si intromette l’addetto stampa che ci rimprovera amabilmente “Ci sono modi e momenti per dire le cose”. Appunto Signore, i modi e i momenti che noi decidiamo. Non certo Lei. Tra le cose che abbiamo sempre contestato c’è il conformismo che fa sì che chiunque sia “parte di un certo ambiente” per motivi personali o professionali, si senta in dovere di difendere n’importe porquoi, chiunque avverta come minacciato da una critica o da un tono che infastidiscono. Si figurino se ci mettiamo a stare zitti.

La chicca? “Anche quella scala a pioli che avete messo lì”… Perché giustappunto, ci sono “modi e momenti per dire le cose”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(12 ottobre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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