“Tutti i padri vogliono far morire i loro figli”, #Vistipervoi da Alessandro Paesano

Altra Cultura

Condividi

Pasolini Rece Paesano 00di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano

Tutti i padri vogliono far morire i loro figli si rifà  ad Affabulazione di Pasolini mutandone completamente i contenuti. Il coro tragico rappresentato dalla figura di Sofocle dell’originale, in questa riscrittura vuole essere rappresentato dall’ombra di Pasolini, e l’archetipo che narrerà non saranno le vicende tragiche e mitiche di Edipo, ma il racconto del ’68! come si legge nelle note di regia nelle quali le vicende di quegli anni vengono analizzate con una lettura politica lucida e precisa:

(…) la rivolta contro i padri dei giovani del ‘68 (…) era lo strumento più efficace con cui il nuovo capitalismo si disfa di quello vecchio, in armonia con gli imperativi del consumismo, dell’esaurimento delle risorse e della distruzione globale. I figli sfortunati vogliono essere orfani in una società senza padri, in cui alla vecchia rivalità edipica si va sostituendo l’invidia fraterna. (…) Siamo di fronte ad un parricidio di massa dove i figli, quelli che il ’68 l’hanno desiderato ed attuato, hanno abdicato al loro ruolo di futuri padri, quasi avessero stretto un patto con il diavolo per restare eternamente figli del mondo.

Peccato che questa lettura politica sulla scena non compaia né nella storia raccontata né nello scarto tra il testo scarnificato firmato da Fabio Morgan e Leonardo Ferrari e l’originale pasoliniano.

Il cruccio e l’assillo del padre padrone pasoliniano attratto dal fallo giovane e virile del figlio, lui che da vecchio ha raggiunto l’impotenza (simbolica) del sesso, dove la sotterranea vena incestuosa della piéce si colora di riflessi omoerotici, si capovolge nel testo di Morgan e Ferrari in una impotenza del figlio incapace di assumersi il portato dell’eredità paterna, soccombendo dinanzi la sua impossibilità a seguirne le orme.
A differenza che nelle note di regia, nelle quali si indica giustamente il parricidio compiuto dalla generazione del 68, in scena compare un padre tra i quaranta e i cinquant’anni (interpretato da un attore più giovane) molto più giovane del figlio, incapace di riconoscere la propria gioventù.
Il suicidio indotto del figlio,  così come la sua impotenza sessuale (ben diversamente dall’originale) sono la cifra di una incapacità della quale il padre approfitta, laddove in Pasolini il figlio è ucciso direttamente per mano paterna.

Il testo di Morgan e Ferrari  rimane così tutto dentro una cornice patriarcale e, e ci pare sia il peccato più grave di questa riscrittura, eteronormata (con tanto di relazione lesbica tra la madre, abbandonata dal marito, e una giovane sensitiva).

La regia, maldestramente e con una intuizione assai infelice, enfatizza psicologie e comportamenti dei personaggi dando loro un portato concreto che cozza non solo con l’idea del teatro Pasoliniano ma anche con le esigenze stesse di un testo cui avrebbe giovato una maggiore misura, una direzione degli attori a levare e non a insistere su una serie di smorfie autoammiccanti che vorrebbero costituire un sottotesto senza mai davvero riuscirci.
Unica eccezione il corpo appeso del figlio che campeggia ignorato da padre e madre che si abbandonano a dialoghi squisitamente borghesi.

Interessante la scenografia, di vago gusto metafisico (più Carrà che De Chirico), con una suddivisione di ambienti saggitale, in profondità di scena, nella quale i personaggi si muovono con cura e con una idea di dislocamento giocata con intelligenza, compresa la posa finale della quale tutti gli attori e le attrici lasciano il proprio personaggio per prendersi gli applausi (peccato l’entusiasmo di Luca Mannocci che ricambia gli applausi calorosi del pubblico applaudendo a sua volta).

Una produzione di tutto rispetto, dato anche lo sforzo economico con cui è stata allestita, e che va sostenuta e promossa nonostante la modestia del risultato finale.
D’altronde, si sa, confrontarsi con Pasolini richiede altezze disumane…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(24 marzo 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©gaiaitalia.com 2015 – diritti riservati, riproduzione vietata

foto ©manuelagiusto 2015

 

 

Pubblicità