La particolare natura del progetto, con gli oggetti d’uso comune nel passato ritratti dalla fotografa, si lega inoltre al tema della tradizione e degli antichi mestieri rappresentati nelle scene di vita quotidiana nella collezione permanente del museo, creando l’occasione per interessanti focus di carattere antropologico e su contiguità storico-geografiche.
Tre i lavori fondanti di questo progetto, che si è evoluto e sviluppato nel tempo proprio a testimoniare il lento processo avviato:
- Generazioni (2005-2006): mediante immagini di oggetti appartenuti alla nonna, alla madre e alle zie la fotografa ricostruisce le identità frammentate;
- Tatina (2011-2013): costituita da circa 36 fotografie, una grande installazione, che ricompone gli scatti fotografici di una antica fascia per avvolgere i neonati, appartenuta alla sorella;
- Io sono (2013): visualizzazione della presa di coscienza del proprio io in relazione ad un cambiamento che ha attraversato le generazioni.
Nasce così un lavoro in cui il linguaggio consueto dell’artista, che sceglie di rappresentare oggetti e non persone, domina la scena: gli oggetti sembrano animarsi nella loro immobilità e attivano la memoria collettiva. L’immobilità d’un tratto viene meno, lo schema rituale, che sembra ripetersi nelle prime quattro sequenze, si scioglie, srotolandosi come la fascia di Tatina, mettendo per la prima volta in discussione quelle certezze; la libera gestione del corpo femminile, allora, diviene il tema principale. Lo sarà ancora nella serie Io sono proprio qui, infatti, le conseguenze si percepiscono con maggiore chiarezza: con una lucida autoanalisi, è nuovamente il corpo ad essere evocato attraverso gli abiti “giusti” o troppo larghi, attraverso un pranzo a base di pillole condensato in un anno di blister vuoti. Quel corpo, a lungo evocato, allora, si manifesta per la prima volta in un autoritratto: un volto privo di orpelli, nella sua nuda verità. Qui, ancora, avviene l’atto di ricongiungimento con un sé estraneo, quella rinascita psichica possibile in virtù di un viaggio critico a ritroso nel tempo, coadiuvato proprio dalla macchina fotografica impressa nella fotografia di un vecchio borsellino che chiude il lavoro.
Ciò che rende questo progetto vivo e vibrante è proprio la lucidità con cui la narrazione privata sa estendersi, mediante richiami visivi e simbolici a una dimensione pubblica, affrontando temi di pressante attualità, quali la relazione femminile con il cibo e con il corpo.
Nel corso dell’esposizione si terrà un incontro di approfondimento sull’attività delle fotografe e artiste donne.
Paola Binante è nata a Roma, vive e lavora tra Bologna ed Urbino. Fotografa professionista, è docente di Fotografia presso l’Università degli Studi ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Urbino.
Museo di Roma in Trastevere da martedì a domenica 10.00-20.00;
chiuso lunedì, 1 maggio La biglietteria chiude un’ora prima Intero: € 7,50
Ridotto: € 6,50
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente
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