#Venezia73, “Geumul (LaRete)” di Kim Ki-Duk

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venezia-73-09-kim-ki-dukdal nostro inviato Emilio Campanella

 

 

 

 

 

 

Geumul (La rete) di Kim Ki-Duk. Recuperato il penultimo giorno alla penultima proiezione, nella nuova sala fiammante nata su un buco vergognoso ripieno di amianto con solo 446 posti, mentre la Sala Casinn, che ha ospitato una delle quattro proiezioni del film, è da 149 posti! Una strana posizione nella programmazione, non in concorso, neppure ufficialmente fuori, ma nel programma generale. Insomma, una nuova sezione collaterale ad ingresso gratuito per il pubblico, previo ritiro dei coupons, ed aperta a tutti gli accrediti.

Mi piace molto il cinema di Kim Ki-Duk, m’interessano le sue provocazioni spirituali, mi colpisce la violenze delle storie, le sfaccettature religiose, controverse ed intriganti. Qui siamo da un’altra parte, in un cinema d’impianto molto tradizionale, che racconta una vicenda semplice, ma dalle implicazioni umane, morali, politiche, estremamente complesse. Siamo nella Corea del Nord; un pescatore viene svegliato dalla mogli, e si prepara, come ogni giorno, per uscire a pesca: arriverà al fiume, e passando il posto di frontiera, perché si tratta di un confine sull’acqua, un poliziotto gli raccomanderà quasi scherzando, ma non troppo, di non sconfinare. Naturalmente, puntualmente, questo accade, siccome la rete s’impiglia e s’ingarbuglia nell’elica, mettendo fuori uso il motore. Andrà alla deriva, dritto dritto fra le braccia del capitalismo ce lo accoglierà, a modo suo, festosamente: arrestandolo e sottoponendolo ad interrogatori molto duri, e qui il regista sceglie di non schiacciare il pedale della violenza esibita, od il meno possibile, ma piuttosto di studiare atmosfere cupe e concentrazionarie, anche se all’apparenza il prigioniero è ospitato in una stanza che sembra d’albergo, ha un umano giovanotto che si occupa di lui, e cerca di difenderlo dalle vessazioni del suo aguzzino, che, scopriremo avere una inestinguibile sete di vendetta dopo lo sterminio della propria famiglia, durante la guerra civile. Vede spie ovunque, spesso a torto. Il nostro pover’uomo verrà “messo alla prova”, fuggirà, tornerà, farà grandi errori per ingenuità, ma poi si deciderà di rimandarlo al Nord, ed in questo le televisioni avranno un grande ruolo. Verrà riaccolto trionfalmente in patria (all’apparenza), per essere invece nuovamente e molto più duramente interrogato e ritrovarsi a scrivere memoriali su memoriali come dall’altra parte, in una prigione sordida, ma non più inquietante dall’altra pulitissima, ordinatissima, altrettanto pericolosa… Lo lasceranno, finalmente tornare a casa distrutto fisicamente e moralmente. Cercherà di tornare a pescare, ma scoprirà che gli è stata ritirata la licenza, preso nella rete come un pesce che più si dibatte più s’ingarbuglia.

Un apologo perfettamente equilibrato e coerente nella sua struttura narrativamente bipartita. Entrambi i poteri sono crudeli e spietati, uno più subdolo e falso, l’altro più primitivo e platelmente violento, entrambi ipocriti, menzogneri e corrotti, in maniera differente, ma non lontanissima, in fondo. La grande esperienza professionale del regista gli fa costruire un film molto calibrato ed in cui i caratteri sono molto sfaccettati ed a tuttotondo, e soprattutto poliedrici, i cattivi non sono solo cattivi, i buoni, ammesso che ce ne siano, non sono solo buoni. Tutti hanno interessi e desiderio di nascondere qualcosa, tutti, in fondo sbagliano molto e sono ricattabili…

 

 

 

 

(10 settembre 2016)

 

 

 

 

 

 

 

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