di Emilio Campanella
Al Terzo piano di Ca’ Pesaro, a Venezia, ha sede il Museo (Nazionale) di Arte Orientale. E’ ospitato nel palazzo, da oltre un secolo, da quando Ca’Marcello, sede originaria, chiuse per restauro. Ricordo che molti anni fa riaprì, con grande gioia di tutti, dopo una chiusura decennale per restauro, anche questa sede provvisoria. Ora si parla di un imminente trasferimento in sede definitiva (fra due anni, ci ha detto Daniele Ferrara, Direttore del Polo Museale del Veneto) che è stata anche indicata: l’ex Chiesa di San Gregorio, ad un passo dalla Salute, sede prestigiosissima in un punto strategico della città, densissimo di importanti luoghi espositivi: La Punta della Dogana, il Museo Manfrediniano, la Collezione Guggenheim, Palazzo Cini e le Gallerie dell’Accademia.
L’occasione di questa bella notizia che dovrebbe realizzarsi in un lasso di tempo inaspettatamente breve, ci è stata data durate la presentazione di una piccola e veramente molto interessante esposizione dedicata a maschere teatrali lignee legate a sacre rappresentazioni, potremmo dire noi europei, per capirci un po’, di episodi del poema indiano Ramayana. Opera letteraria sterminata, fluviale, sacrale, mitica, magica, ipnotica. L’esposizione che sarà aperta al pubblico fino al 10 settembre prossimo, s’intitola: Ramayana. The divine poem as revealed by Rajbansi masks.
Strano titolo inglese per una collezione francese ed una mostra prodotta da ICI Venice e L’Association pour le Rayonnement des Cultures Himalalayennes. E’ curata da Marta Boscolo Marchi e François Pannier e patrocinata da UNESCO, Università di Ca’ Foscari ed ICOO, Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente.
Storicamente attribuito al saggio Valmiki (fine II- I sec a.C), in realtà pare che il nucleo del Ramayana sia stato composto fra il VI ed il III sec. a.C. e, però, nei primi secoli della nostra era trovò la sua forma come più o meno la conosciamo attualmente.
Le magnifiche maschere esposte, di produzione fra India e Nepal, sono però, nella maggior parte, ottocentesche ed anche del ventesimo secolo. Sono rappresentazioni di dèi, demoni, eroi, animali, personaggi buoni e cattivissimi della lunghissima vicenda che investe molteplici visioni della vita umana e soprannaturale. Il materiale è il legno dipinto. Sono anche molto grandi, ed alcune, pesantissime.
Esposte ed illminate con gusto, hanno una sala a loro disposizione. Il collegamento con le collezioni del museo è nell’ultima sala dove ci sono altri esempi di arte teatrale legata al poema come le ombre e le marionette dell’isola di Giava del Wayang Kulik e Wayang Goleb. Il catalogo che accompagna l’esposizione, ricco di immagini e testi, è edito a cura del collezionista Alain Rouveure che ha prestato i suoi tesori per la mostra veneziana.
(12 aprile 2017)
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