di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Corporate (Francia, 2016) di Nicolas Silhol è una sorprendente opera prima che racconta delle strategie aziendali per indurre il personale in esubero all’auto licenziamento, salvando la faccia e il conto in banca dell’azienda.
Una strategia che conosce bene Emilie Tesson-Hansen (una magnifica e straordinaria Celine Sallette) che consiste nel mettere in mobilità il personale e poi proporre trasferimenti insostenibili inducendo al licenziamento spontaneo.
Quando uno degli esuberi però si suicida la dirigenza se ne lava le mani e vuole fare di Emilie il capro espiatorio. Messa nel tritacarne dall’ispettrice del lavoro Marie Borrel (Violaine Fumeau) Emilie si difende e decide di rivelarle la verità.
Il film trae il suo soggetto da alcuni fatti di cronaca che hanno attanagliato la Francia nell’ultimo decennio a partire da quello più eclatante (ma purtroppo tutt’altro che unico) caso dei 58 suicidi di dipendenti, 35 solo tra il 2008 e il 2009, nove tra gennaio e febbraio 2010, dell’allora France Télécom, oggi Orange, suicidi indotti da una gestione degli esuberi come quella raccontata nel film.
Il regista in sala ha spiegato come altri casi di suicidi si sono verificati in tutte le grandi aziende pubbliche, dalle poste agli ospedali, e che la dirigenza di France Télécom verrà finalmente portata in giudizio quasi 10 anni dopo i fatti accaduti.
Il film ha una sceneggiatura intelligente che racconta la storia non dal punto di vita di una delle vittime ma di una delle esecutrici, una dirigente dure e priva di emozioni che non si ravvede, in maniera moralistica, dopo il suicidio, ma si rende conto ce lo stesso trattamento che l azienda riserva ai dipendenti tocca anche a lei. La dedizione assoluta all’azienda (espressa dalla parola Corporate che dà il titolo al film) non la tutela in alcun modo quando si tratta di essere scaricata come unica responsabile di una strategia voluta dal management.
Al suo personaggio di donna dura e spietata, il film contrappone quello dell’ispettrice al lavoro altrettanto agguerrita ma più femminile, meno inquadrata nel management in tailleur e organigrammi dell’azienda dove lavora Emilie.
Molti sono i dettagli interessanti presenti nel film, il maschilismo sotterraneo che emerge nei momenti meno aspettati. come quando l’ispettrice chiude un cantiere per violazioni ripetute delle norme di scurezza e il capocantiere non ci sta ad essere redarguito da una donna e la insulta senza che l’ispettrice si lasci intimidire. Il marito di Emilie, inglese, ha rinunciato al lavoro da Manager a Londra per seguire la moglie a Parigi dove non ha cercato lavoro ma si è dedicato al loro figlio (capovolgendo quella funzione di cura attribuita per vocazione di genere alle donne) e anche le relazioni che Emilie ha con le altre donne dell’ufficio che dirige la cui solidarietà spunta nei momenti più inaspettati.
Un cast d’eccezione (tra cui Lambert Wilson che ricorda sempre più Yves Montand) in un’opera prima vista a Rendez-vous praticamente in contemporanea con la sua uscita francese (lo scorso mercoledì).
Un altro gioiello di una edizione del Festival che ha raggiunto una maturità confermandosi punto di riferimento per la scena non solo romana.
La tappa nella Capitale è stata solo una delle tante sparse per lo Stivale da Bologna (7-14 Aprile) a Napoli (4-7 Aprile), da Firenze (6-11 Aprile) a Torino (8-12 Aprile), da Palermo (7-9 Aprile) a Milano per un’opera di diffusione del cinema francofono sempre più capillare e puntuale.
(10 aprile 2017)
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